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La Vicina Perfetta
Blake Pierce


Un thriller psychologique avec Jessie Hunt #9
“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha fatto un ottimo lavoro sviluppando dei personaggi con un lato psicologico così ben descritto da farci sentire come dentro alle loro teste, seguendo le loro paure e gioendo per i loro successi. Pieno di svolte, questo libro vi terrà svegli fino a che non girerete l’ultima pagina.” . –Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (riguardo a Il killer della rosa) . LA VICINA PERFETTA è il libro #9 di una nuova serie di thriller psicologici dell’autore campione d’incassi Blake Pierce, che inizia con La moglie perfetta, un bestseller numero #1 (scaricabile gratuitamente) con quasi 500 recensioni da 5 stelle. . In un quartiere ricco ed esclusivo a Manhattan Beach, una nuova inquilina si trasferisce in una casa di lusso, dove viene ritrovata morto poco dopo. Il caso porta Jessie in un’altra cittadina di mare, evocando i brutti ricordi del suo matrimonio e costringendola ad affrontare i propri demoni, mentre nel contempo tenta di smascherare le bugie di questa cittadina apparentemente perfetta… L’omicidio è collegato a una festa esclusiva dedicata all’élite?. O c’è in ballo un motivo ancora più atroce?. A peggiorare le cose, ora il marito di Jessie è uscito di prigione, tornando ad essere per lei una potenziale minaccia… Un thriller psicologico veloce e pieno di suspence, con dei personaggi indimenticabili, LA VICINA PERFETTA è il libro #9 di una nuova serie che vi terrà incollati alle pagine e non permetterà quasi di andare a dormire..





amna

LA VICINA PERFETTA




l aВ В  v i c i n aВ В  p e r f e t t a




(un emozionante thriller psicologico di jessie hunt—libro 9)




b l a k eВ В  p i e r c e




edizione italiana


a cura di


Annalisa Lovat



Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore statunitense oggi campione d’incassi della serie thriller RILEY PAGE, che include diciassette. Blake Pierce è anche l’autore della serie mistery MACKENZIE WHITE che comprende quattordici libri; della serie mistery AVERY BLACK che comprende sei libri;  della serie mistery KERI LOCKE che comprende cinque libri; della serie mistery GLI INIZI DI RILEY PAIGE che comprende cinque libri; della serie mistery KATE WISE che comprende sette libri; dell’emozionante mistery psicologico CHLOE FINE che comprende sei libri; dell’emozionante serie thriller psicologico JESSIE HUNT che comprende sette libri (e altri in arrivo); della seria thriller psicologico RAGAZZA ALLA PARI, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della serie mistery ZOE PRIME, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della nuova seria thriller ADELE SHARP e della nuova serio di gialli VIAGGIO IN EUROPA.



Un avido lettore e da sempre amante dei generi mistery e thriller, Blake ama avere vostre notizie, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.blakepierceauthor.com (http://www.blakepierceauthor.com/) per saperne di piГ№ e restare informati.








Copyright © 2020 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. A eccezione di quanto consentito dall’U.S. Copyright Act del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuitao trasmessa in alcuna forma o in alcun modo, o archiviata in un database o in un sistema di raccolta, senza previa autorizzazione dell’autore. Questo ebook è concesso in licenza esclusivamente ad uso ludico personale. Questo ebook non può essere rivenduto né ceduto ad altre persone. Se desidera condividere questo libro con un'altra persona, la preghiamo di acquistare una copia aggiuntiva per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato, o non è stato acquistato esclusivamente per il suo personale uso, la preghiamo di restituirlo e di acquistare la sua copia personale. La ringraziamo per il suo rispetto verso il duro lavoro svolto da questo autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, imprese, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono il prodotto della fantasia dell’autore o sono usati romanzescamente. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, è del tutto casuale. Immagine di copertina Copyright GeorgeMayer, utilizzata sotto licenza da Shutterstock.com.



LIBRI DI BLAKE PIERCE




LA SERIE THRILLER DI ADELE SHARP

NON RESTA CHE MORIRE (Libro #1)

NON RESTA CHE SCAPPARE (Libro #2)

NON RESTA CHE NASCONDERSI (Libro #3)

NON RESTA CHE UCCIDERE (Libro #4)


THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Libro #1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Libro #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Libro #3)

IL VOLTO DELLA FOLLIA (Libro #4)


LA RAGAZZA ALLA PARI

QUASI SCOMPARSA (Libro #1)

QUASI PERDUTA (Libro #2)

QUASI MORTA (Libro #3)


I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)

LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)

IL LOOK PERFETTO (Libro #6)

LA TRESCA PERFETTA (Libro #7)

L’ALIBI PERFETTO (Libro #8)

LA VICINA PERFETTA (Libro #9)


I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

RITORNA A CASA (Libro #5)

FINESTRE OSCURATE (Libro #6)


I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)

SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)

SE LEI TEMESSE (Libro #6)

SE LEI UDISSE (Libro #7)


GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)

PERSECUZIONE (Libro #5)

FOLGORAZIONE (Libro #6)


I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

OMICIDI CASUALI (Libro #16)

IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)


UN RACCONTO BREVE DI RILEY PAIGE


UNA LEZIONE TORMENTATA




I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)

PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)

PRIMA CHE FACCIA DEL MALE (Libro #14)


I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)


I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)




CAPITOLO UNO


Non voleva fare la ficcanaso.

Almeno questo era ciГІ che Priscilla Barton si ripeteva mentre camminava lungo la Manhattan Beach Strand con una bottiglia di Sauvignon Blanc in mano.

Tecnicamente, Prissy – come preferiva farsi chiamare – stava per dare il benvenuto nella comunità ai nuovi vicini. Lei e suo marito Garth erano stati via, nella loro proprietà di Palm Springs, per buona parte della scorsa settimana e dovevano essersi persi i nuovi inquilini che si erano trasferiti. Da quando i Barton erano tornati in città, Prissy a volte notava il movimento di una figura dietro alle tende sempre tirate della villa accanto. Ma non aveva mai visto entrare o uscire nessuno.

E comunque di questi giorni era difficile poter controllare costantemente. Dato che tantissimi dei suoi vicini in questa parte di cittГ  benestante e antistante la spiaggia passavano buone porzioni di estate a viaggiare, era difficile sapere chi fosse in vacanza, meno che meno chi aveva affittato o prestato la propria casa.

Prissy sapeva che i proprietari della casa accanto alla sua erano un agente di Hollywood e sua moglie, che dirigeva un qualche fondo per il finanziamento di borse di studio per giovani svantaggiati. Ma non erano particolarmente amichevoli ed erano stati assenti per lunghi periodi durante l’anno. In effetti aveva sentito da un’altra vicina che sarebbero stati via fino a tutto agosto. Siccome non li vedeva da settimane, aveva senso che la persona che aveva scorto in casa fosse un affittuario.

Mentre Prissy si avvicinava alla porta, sentì un formicolio di emozionata anticipazione. E se l’agente avesse prestato la casa a un cliente, magari a qualcuno di famoso? Non sarebbe stata una cosa insolita. Un sacco di gente famosa viveva o passava le vacanze qui. Li vedeva spesso perché indossavano berrettini con visiera, occhiali da sole e vestiti trasandati. Era un po’ la loro uniforme.

E poi sollevavano raramente lo sguardo. Se vedeva qualcuno con un aspetto quasi da barbone nascondere il viso e rifiutare di guardarla negli occhi, c’era una buonissima possibilità che si trattasse di una celebrità. Ovviamente, lei stessa aveva imparato, provandolo sulla propria pelle, che a volte era effettivamente un senzatetto. Quindi era più cauta nell’approcciarsi a loro rispetto a quando era arrivata lì all’inizio.

Non che Prissy fosse nuova alla ricchezza. Per gli ultimi nove anni era stata sposata con Garth Barton, che era un dirigente di grande successo nella Sharp Kimsey, una società internazionale nel settore del gas e del petrolio. Fino all’anno scorso, avevano vissuto nel quartiere storico di Hancock Park, poco distante da tutti quei grattacieli luccicanti del centro di Los Angeles.

Ma Prissy, che era cresciuta povera e sudata in Catahoula, Louisiana, si era stufata delle afose e calde estati del centro di Los Angeles e aveva chiesto che si trasferissero alla spiaggia, che di solito era piГ№ fresca di due o tre gradi. Ma vivere alla spiaggia non significava essere accolta dalla gente del posto. Prissy doveva ancora farsi accettare.

Le piaceva dirsi che le cose andavano così perché questa era gente isolana, tipi distaccati che disprezzavano i nuovi arrivati. E c’era una certa verità in questo. Ma dentro di sé, sapeva che aveva molto a che fare con la sua personalità a volte avida e da arrampicatrice sociale, quella che tentava di tenere nascosta, ma che sembrava sempre emergere nei momenti meno opportuni.

Semplicemente non poteva farne a meno. Quella personalità aggressiva l’aveva aiutata a farsi strada a unghiate fuori dal bayou per arrivare all’Università di Los Angeles, dove aveva incontrato il garbato ragazzo di New Orleans che voleva diventare il padrone dell’universo.

Dopo la laurea e il matrimonio, Garth aveva ottenuto il lavoro alla Sharp Kimsey e si erano stabiliti a Metairie, poco distante dalla sede che l’azienda aveva a New Orleans. Dopo due anni erano stati trasferiti a Huston e poi a Los Angeles dopo altri quattro. Ora erano qui da tre anni, e Prissy adorava questo posto.

Amava il lusso della città. Ne amava l’impenitente goffaggine. Amava le donne magrissime che portavano a spasso il loro cagnolini microscopici dentro alle loro minuscole borsette. Voleva esserne parte, anche se i suoi tentativi la facevano apparire un po’ disperata. Ecco perché adesso si trovava davanti alla porta dei nuovi vicini con una bottiglia di vino in mano e un ampio sorriso stampato in faccia: per essere parte della scena.

Si voltò a guardare la Strand, un viale pedonale in cemento che per buona parte passava poco distante dalle case di Manhattan Beach e Hermosa Beach. Era sorprendentemente deserto per quell’ora del tardo pomeriggio, ma questo significava che in giro non c’era nessuno che potesse giudicare la sua curiosità.

Prissy si diede un’ultima controllata generale osservando la propria immagine riflessa nel lucido vetro della porta. Le sembrava di avere un bell’aspetto. All’età di trentuno anni, aveva ancora il corpo energico e tonico che sapeva esserle necessario per evitare che gli occhi di Garth si spostassero altrove. Tutte le sedute di yoga e pilates e gli allenamenti da campo in spiaggia avevano dato il loro risultato, mantenendo il suo corpo sodo in tutti i punti giusti. Teneva i capelli tinti di biondo sciolti sulle spalle, e anche se era quasi sera, usava la temperatura mite come scusa per indossare un reggiseno sportivo e pantaloncini da yoga a vita alta. Era piuttosto certa che avrebbe fratto un’ottima impressione, che il nuovo residente fosse una celebrità o no.

Prissy suonò il campanello ma non sentì niente. Doveva essere rotto. Bussò alla porta e aspettò. Non ci fu alcuna risposta. Provò ancora, ma di nuovo niente risposta. Stava per arrendersi ed era dibattuta se lasciare il vino sullo zerbino. Ma non aveva portato un biglietto e non aveva senso lasciare lì il suo pensiero senza che il destinatario sapesse chi gli aveva recapitato quel dono. Quindi provò un’ultima volta. Se nessuno avesse risposto, sarebbe semplicemente tornata più tardi. Bussò con forza alla porta con la parte morbida del pugno. Con sua sorpresa, il battente si aprì leggermente all’interno.

“Salve?” esclamò con voce alta ma tentennante.

Non ci fu risposta. Stupita dalla stranezza di una casa da miliardi di dollari lasciata così aperta e priva di protezione, spinse la porta un po’ di più.

“Salve! Sono la vicina di casa!” disse, mentre sbirciava nel foyer alla ricerca di una penna e un pezzo di carta. Qualsiasi cosa le tornasse utile per far sapere ai residenti che il vino era merito suo. Lasciare la bottiglia all’interno come dono anonimo andava contro il primo scopo della sua visita. Non vedendo nulla, Prissy si chiuse la porta alle spalle ed entrò in casa.

“Salve! C’è nessuno? Giuro che non sono qui per rubare niente. Ho un regalo di benvenuto. Lo lascio in cucina.”

Si incamminГІ lungo il cavernoso corridoio nella direzione che presumeva condurre alla cucina. Si sentiva leggermente nervosa. Dopotutto si era introdotta in una proprietГ  privata. Se qualcuno era in casa e non aveva risposto perchГ© magari stava facendo la doccia o aveva degli auricolari nelle orecchie, una cattiva reazione sarebbe stata piГ№ che giustificata. Ma Prissy provava anche una deliziosa emozione in quella possibilitГ  di curiosare in giro.

Andando verso la cucina, non incontrò anima viva. Tutte le luci in casa erano spente, il che le dava l’impressione che gli inquilini non ci fossero, e avessero quindi solo dimenticato di chiudere la porta in modo appropriato. Posò il vino sull’isola della cucina, trovò una penna e scrisse un breve messaggio su un post-it lì vicino, appiccicandolo poi sulla bottiglia.

Leggermente delusa, imboccò di nuovo il corridoio per tornare verso l’uscita, ma la sua curiosità fu nuovamente stuzzicata. Quando raggiunse l’ingresso dell’ampio salotto, non poté fare a meno di entrarvi per osservarlo meravigliata: sembrava che la stanza fosse stata presa e portata qui direttamente da Cape Cod.

Prissy stava pensando di tirare fuori il telefono e fare qualche foto, in modo da poter rubare qualche idea, quando sentì un rumore nell’angolo della stanza. Si voltò e notò che il suono veniva da dietro una grossa pianta. Per un momento, pensò di aver spaventato un animale che si stava nascondendo per restare al sicuro.

Ma poi, in un’improvvisa esplosione di movimento, un uomo scattò da dietro la pianta e corse verso di lei con un’espressione di oscura intensità in volto. Prissy fu pervasa da un’imprevista ondata di panico. Avrebbe voluto gridare, ma aveva la gola completamente secca. L’uomo stava venendo dritto verso di lei. Alla fine Prissy riuscì a tornare in sé, sentendo il respiro pesante e rapido del suo assalitore.

Scattò nel corridoio, correndo verso la porta. Ma correre con le ciabattine da spiaggia era difficile e dopo pochi passi Prissy perse l’equilibrio e cadde sul pavimento. Si rimise in piedi, con una infradito in meno. Il rumore dei pesanti passi alle sue spalle le fece esplodere l’adrenalina in corpo.

Stava per raggiungere la maniglia, quando si sentì spingere con forza contro la porta. Tra la spinta e lo slancio che già aveva, vi sbatté addosso violentemente, accasciandosi poi sul pavimento, senza fiato. Prima di potersi riprendere, sentì qualcosa che le si stringeva attorno al collo.

Cercò di infilarci sotto le dita, ma non ci riusciva, e l’uomo stava stringendo sempre più, tirandola nel corridoio, lontano dalla porta. Prissy gli crollò addosso ed entrambi caddero con un tonfo sul pavimento. Ma l’uomo non lasciò la presa.

Tra l’ondata di adrenalina, il fiato mozzato per la botta contro la porta e il collo ora così strozzato, Prissy sentiva che tutto il suo corpo tentava di urlare, anche se nessun suono le poteva uscire di bocca. Fece roteare le braccia tentando di colpire il suo aggressore con una gomitata alle costole, almeno per fargli perdere la presa. Ma sentiva che già stava perdendo conoscenza e che i suoi gomiti non erano in grado di produrre un solido impatto.

Non posso morire così!

Il pensiero le si accese nella mente mentre vedeva delle luci intermittenti che iniziavano ad annebbiarle la vista. L’idea la spaventò tanto da spingerla a un ultimo disperato tentativo di scuotersi l’uomo di dosso. Ma ormai era troppo tardi.




CAPITOLO DUE


Jessie Hunt si alzГІ dal tavolo della cucina senza sussultare visibilmente.

Raccolse i piatti di tutti e andГІ al lavandino per sciacquarli. In quanto peggiore cuoca del gruppo, era sfuggita alla preparazione della cena. Ma questo significava che era la lavapiatti ufficiale. Normalmente era uno scambio onesto, ma da quando aveva subito le piГ№ recenti ferite, stare china sul secchiaio era una sfida. E riporre i piatti nella lavastoviglie era spesso causa di silenziose lacrime.

Sentiva ancora il bruciore per le scottature alla schiena di tre settimane prima. Ma riusciva a non darlo a vedere. NГ© il suo compagno Ryan, nГ© la sua sorellastra Hannah sembravano notare la sua attuale notevole sofferenza.

Si era procurata le bruciature nel salvataggio di una donna dalle grinfie di un uomo disturbato che l’aveva rapita e rilasciata intenzionalmente giorni dopo, solo per tornare poi a casa sua con l’intenzione di ucciderla. Jessie e la donna erano riuscite a scappare per un pelo dalla casa in fiamme. Da allora Jessie era stata in congedo dal Dipartimento di Polizia di Los Angeles, prima bloccata in ospedale, e ora nel proprio appartamento.

Sapeva che così non andava bene. Prendeva un sacco di antidolorifici. Il medico le aveva detto di non abbassare il dosaggio per un altro mese. Ma lei aveva iniziato a calarli di sua volontà una settimana fa, in parte per la preoccupazione di diventarne dipendente. Ma c’era anche un altro motivo. Doveva stare allerta.

Il giorno successivo a quello in cui si era procurata le ustioni, mentre si stava riprendendo in ospedale, il suo ex marito Kyle Voss era stato liberato dalla prigione. Si trattava dello stesso ex marito che era stato incarcerato per aver assassinato la sua amante, aver tentato di incastrare Jessie con l’accusa di omicidio e avere poi tentato di fare fuori anche lei quando se ne era resa conto.

Eppure in qualche modo il pubblico ministero all’accusa nel caso di Kyle aveva recentemente confessato la propria mala condotta per gestione inadeguata di alcune prove. Ovviamente Jessie sapeva come si fosse verificato quel �in qualche modo’. Kyle aveva stretto amicizia con una gang in prigione associata con il famigerato cartello della droga Monzon. Successivamente, i membri del cartello avevano minacciato la famiglia del pubblico ministero. Jessie ne era certa. Il suo amico dell’FBI, l’agente Jack Dolan, ne era sicuro quanto lei. Purtroppo non avevano modo di provarlo.

Quindi, mentre Jessie se ne stava nel suo letto d’ospedale a riprendersi dalle sue ustioni, un giudice aveva rimesso in libertà Kyle Voss, addirittura scusandosi con lui in tribunale. Kyle aveva fatto al suo solito lo splendido. Aveva tenuto una conferenza stampa ammettendo di essere �ben lungi da una persona perfetta’ e affermando la propria intenzione di voltare pagina, avviando addirittura una fondazione per la raccolta di fondi in aiuto ai prigionieri condannati ingiustamente.

Quello che Kyle non aveva ammesso – e che Jessie sapeva, ma non poteva provare – era che mentre era stato in prigione, aveva intrapreso una campagna per distruggere la vita e la reputazione dell’ex moglie. Era cominciato tutto con piccole cose, come farle tagliare le gomme dell’auto da un membro del cartello. Poi era passato a far mettere dei farmaci anti-psicotici nell’auto del suo compagno, a fare una chiamata anonima ai servizi sociali affermando che lei stava abusando di Hannah – di cui aveva la custodia –, ad hackerare le sue pagine social, postando commenti razzisti e anti-semitici. Quest’ultima manovra, nonostante fosse stata smascherata, stava ancora avendo le sue ripercussioni sulle relazioni lavorative di Jessie e sulla percezione che di lei aveva il pubblico.

La ciliegina sulla torta era stata una composizione di fiori inviatale in ospedale con il messaggio che il mittente l’avrebbe presto incontrata. Considerato che Kyle aveva già tentato di ucciderla e aveva detto a un informatore in prigione che voleva �squartarla come un maiale e farsi un bagno nel suo sangue caldo’, Jessie aveva deciso che valesse la pena di provare un po’ di dolore di più calando gli antidolorifici, se questo le avrebbe permesso di essere più vigile.

Era di aiuto che il suo compagno, che si era recentemente trasferito a vivere con lei e Hannah, fosse un decorato detective del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, che aveva tutto l’aspetto di poter sconfiggere un toro infuriato in un incontro di lotta libera. Ryan Hernandez, il migliore investigatore della Sezione Speciale Omicidi (HSS) al dipartimento, era alto un metro e ottantacinque per novanta chili di solidi muscoli. Jessie a volte aveva l’impressione di essersi messa insieme alla propria guardia del corpo, anche se adesso non sembrava proprio così.

“Comodo?” gli chiese quando lo vide spostarsi sul divano e sdraiarsi con i piedi nudi sul bracciolo.

“Molto,” le rispose. Poi le disse con tono canzonatorio: “Li hai insaponati abbastanza quei piatti?”

“Ti faccio sentire subito quanto sono insaponati, se non levi immediatamente i tuoi piedi puzzolenti dal bracciolo del mio divano.”

Lui obbedì senza una parola, ma le mostrò la lingua. Jessie tentò di non sorridere.

Oltre ad avere nei paraggi un uomo tosto con l’abbiocco post-cena, un altro elemento rassicurante era che il suo appartamento era essenzialmente una camera blindata. Era stato progettato in quel modo quando si era trovata alle calcagna il suo padre naturale, un serial killer di nome Xander Thurman, che aveva deciso che lei dovesse unirsi all’attività di famiglia o diventarne una vittima.

Quindi le avevano dato un alloggio in un edificio protetto da poliziotti in pensione come guardie di sicurezza, monitoraggio ventiquattr’ore su ventiquattro tutti i giorni e videocamere di sicurezza in ogni corridoio e area pubblica. Ma quello era solo l’inizio.

Lei era una dei pochi residenti – tutti con professioni di alto profilo – ad abitare al segreto tredicesimo piano, sconosciuto alla maggior parte delle altre persone nell’edificio. Era possibile accedervi solo per mezzo di una rampa di scale nascosta dietro agli sgabuzzini dei contatori, dal dodicesimo o dal quattordicesimo piano.

Oltre a tutto questo, Jessie aveva fatto impostare un suo privato sistema di sicurezza per l’appartamento stesso, che comprendeva diverse serrature e allarmi. Uno dei vantaggi dell’essere stata sposata con un sanguinario ma ricco e benestante consulente finanziario era che, al momento del divorzio, era diventata ricca e indipendente lei stessa.

Nonostante tutte quelle precauzioni, sapeva che Kyle, in quanto sociopatico che l’aveva ingannata per un decennio, era astuto e implacabile. L’aveva quasi fatta franca con l’omicidio. Era riuscito a negoziare la sua libertà da una lunga sentenza di prigionia. Jessie non aveva intenzione di sottovalutare le sue capacità di aggirare le sue precauzioni riguardo alla sicurezza.

“Avete voglia di dolce?” chiese Hannah, ancora seduta al tavolo, riportando Jessie al presente mentre sciacquava gli ultimi piatti. “Ho fatto le tortine alle pere.”

Jessie era piena, ma non voleva guastare le delicate vibrazioni positive della serata.

“Sto per esplodere, ma potrei provarne una di piccolina,” disse, ottenendo un sorriso soddisfatto da parte della sorellastra.

Ogni sorriso fosse possibile tirarle fuori era una vittoria in quei giorni. Anche se tutto nell’appartamento sembrava piacevole in superficie, c’era decisamente della tensione subito sotto. Ryan aveva chiesto il permesso ad Hannah, prima di esplicitare l’idea di vivere insieme a Jessie. Anche se la richiesta era stata un gesto premuroso, Jessie aveva la sensazione che Hannah avesse acconsentito più per cortesia che per sincero entusiasmo.

Era chiaro che Hannah la voleva vedere felice. Ma era anche evidente che non faceva i salti di gioia ora che condivideva un appartamento da due camere con una coppia affezionata, soprattutto quando entrambi erano professionisti della polizia.

Mentre Jessie rifletteva su questo, Hannah le si avvicinГІ, tirГІ fuori le tortine dal forno e, senza una parola, posГІ quella piГ№ piccola, che era anche leggermente bruciacchiata, sul bancone umido accanto a Jessie.

“Buon appetito,” mormorò.

“Grazie,” disse Jessie, scegliendo di concentrarsi sull’offerta del dolce piuttosto che sul modo in cui le era stato dato.

A volte il leggero risentimento di Hannah veniva fuori sotto forma di scatti da adolescente passivo-aggressiva o, come in questo caso, nelle vesti di tortine alle pere bruciacchiate. A volte si manifestava attraverso un cupo silenzio. Non era costante, ma emergeva abbastanza spesso da farsi notare. Gli occhi verdi della ragazza diventavano burrascosi, la sua figura alta si piegava e richiudeva e i suoi capelli biondo sabbia venivano improvvisamente raccolti in una severa e sdegnosa coda di cavallo.

Le circostanze non erano ideali neanche per Jessie e Ryan, dato che nessuno dei due se la sentiva di lasciarsi davvero andare, romanticamente parlando, con una diciassettenne nella stanza che si trovava dall’altra parte del salotto. Vivano insieme in questa nuova configurazione da meno di un mese, ma stava già diventando chiaro che una discussione riguardo alla loro futura sistemazione era ormai inevitabile.

“Con tutta la sicurezza che hai qui, magari potremmo investire in una camera da letto insonorizzata,” era l’unica battuta che Ryan aveva fatto sull’argomento.

E poi c’era l’altra cosa, quella che stava sospesa e aleggiava su tutto. Hannah Dorsey era una persona stabile? Jessie si era recentemente assunta la custodia della sorellastra di cui prima neanche conosceva l’esistenza. Era venuta a sapere di lei solo dopo che il loro padre serial killer aveva assassinato i genitori adottivi di Hannah, e poi un altro assassino di nome Bolton Crutchfield aveva massacrato i genitori affidatari, rapendo Hannah e cercando di indottrinarla per farla diventare come lui. Erano un sacco di eventi da cui chiunque avrebbe avuto la necessità di riprendersi, figurarsi una ragazzina delle superiori.

“Fai attenzione con quel coltello, per favore,” disse Jessie, mentre Hannah lo usava per grattare i resti delle tortine dalla carta forno sulla teglia.

“Grazie, mamma,” mormorò Hannah sottovoce mentre continuava a usare la lama come una spazzola per le briciole.

Jessie sospirò senza rispondere. La vista della sorellastra con in mano un coltello lungo e affilato la innervosiva. Anche se stava tentano di creare un ambiente sicuro, era preoccupata che magari dei residui istinti omicidi si fossero insinuati nella mente della ragazza. Aveva segretamente sviluppato una sete di sangue dopo aver visto il potere crudele che la violenza offriva a coloro che la abbracciavano? C’era un qualche germe di desiderio omicida che era stato trapassato da suo padre alla figlia? E se così fosse, ce l’aveva anche Jessie?

Era una domanda sulla quale rimuginava da mesi. Ne aveva parlato con la sua terapeuta, la dottoressa Janice Lemmon, che seguiva ora anche Hannah. Lo aveva chiesto addirittura al suo mentore, il famoso profiler criminale Garland Moses, al quale aveva domandato di indagare sulla questione. Ma nessuno era stato in grado di offrirle niente di definitivo sulla natura di Hannah, proprio come Jessie sembrava incapace di discernere una chiara risposta riguardo al proprio carattere.

Per buona parte del tempo, Hannah sembrava come una normalissima ragazza adolescente, con tutti i consueti sbalzi d’umore, gli ormoni e tutto il resto. Ma considerato il trauma che aveva sofferto negli ultimi mesi, a volte quella �normalità’ le sembrava sospetta.

Jessie scosse la testa, tentando di cacciare dal cervello quei pensieri. In quel momento, le cose erano accettabili. Sua sorella aveva preparato il dessert, anche se gliene aveva dato un pezzo bruciato. Tutti erano carini. Jessie sarebbe dovuta tornare al lavoro d’ufficio la settimana successiva e sperava di rientrare pienamente in servizio come profiler criminale quella dopo. Le cose stavano procedendo.

Sì, era frustrante vedere Ryan uscire ogni mattina, diretto alla Stazione centrale del LAPD, dove entrambi lavoravano. Ma presto lo avrebbe raggiunto. Poi sarebbe potuta ritornare al mondo che amava, dove doveva catturare assassini tuffandosi nelle loro menti.

Per mezzo secondo, la natura preoccupante del proprio �amore’ per quel mondo la fece sobbalzare. Ma mandò giù velocemente la preoccupazione, insieme a un morso della deliziosa tortina alle mele di Hannah. Anche se leggermente abbrustolita, era buonissima. Mentre tutti stavano finendo il dolce, il telefono di Ryan suonò. Ancor prima di guardarlo, tutti capirono di cosa si trattava. A quell’ora, era quasi certamente un caso.

“Pronto?” rispose Ryan.

Ascoltò in silenzio per quasi un minuto. Jessie poteva distinguere appena la voce dall’altra parte della linea. Ma sulla base dello stile brusco e frettoloso, era sicura di sapere chi fosse.

“Garland?” chiese quando Ryan riattaccò.

“Già,” le rispose, annuendo mentre si alzava in piedi e iniziava a raccogliere le sue cose. “Sta gestendo un caso a Manhattan Beach e pensa che sia adatto al HSS. Vuole il mio aiuto.”

“Manhattan Beach?” insistette Jessie. “Un po’ fuori dalla nostra giurisdizione, no?”

“A quanto pare il marito della vittima è un pezzo grosso nel giro del petrolio in centro città. Ha sentito parlare di Garland e ha richiesto nello specifico il suo intervento. Si presume che sia un mega-stronzo, quindi la polizia del posto è felice di passare il malloppo al Dipartimento di Polizia di Los Angeles.”

“Sembra divertente,” commentò Jessie.

“Ecco la cosa strana,” disse Ryan, rivolgendosi non a lei ma ad Hannah, mentre si infilava il giubbotto sportivo e si allacciava la cintura con la pistola. “Molta gente lo direbbe sarcasticamente. Ma tua sorella lo dice sul serio. È gelosa di non poter venire con me. È malattia questa.”

Aveva ragione, in piГ№ di un senso.




CAPITOLO TRE


Garland Moses si sentiva in colpa.

Stava guidando velocemente, cercando di arrivare alla scena del crimine il prima possibile. Mentre si dirigeva verso ovest sulla Manhattan Beach Boulevard, in direzione dell’oceano, valicò la collina proprio mentre il sole quasi del tutto tramontato proiettava il suo bagliore rosa-arancio sulla cittadina balneare e oltre, sull’Oceano Pacifico.

Qualcosa in quella veduta sciolse lo stretto nodo di anticipazione che gli opprimeva il petto. La maggior parte della gente lo conosceva come il burbero profiler veterano che raramente mostrava le proprie emozioni, meno che meno lo stupore. Ma da solo nella sua auto, era libero di meravigliarsi davanti allo spettacolo dei surfisti le cui sagome si stagliavano contro il cielo cremisi, con le barche a vela come sfondo. Ma mentre guardava stupito quello scenario da cartolina, il senso di colpa iniziò a farsi strada dentro di lui, dicendogli che non si trovava lì per ammirare il panorama. Era lì per lavoro.

Però, mentre percorreva l’ultimo tratto della strada che terminava davanti al molo, guardò con invidia le folle di persone che riempivano le strade, vestite con indumenti da spiaggia. Anche se erano quasi le otto di sera, lui aveva ancora indosso la sua uniforme non ufficiale: una logora giacca sportiva grigia e una vecchia camicia bianca. Di solito ci aggiungeva anche un gilet di lana, ma in una giornata così calda era troppo anche per lui. Si era messo però i tradizionali pantaloni blu sbiadito e i mocassini marroni ormai consumati. Tutto l’insieme era come un costume di scena, preparato per indurre sospettati e testimoni ad abbassare la guardia quando si trovavano al cospetto dell’anziano e apparentemente sbadato signore che poneva loro domande personali.

Svoltò a destra sulla Ocean Drive, a un solo isolato dalla spiaggia. Era più un vicolo che una strada e Garland dovette districarsi tra le auto parcheggiate alla meno peggio per arrivare all’indirizzo che gli avevano dato. Quando arrivò, parcheggiò in una zona di carico e scarico, espose la targa del Dipartimento di Polizia di Los Angeles sul cruscotto e uscì.

Venne subito sopraffatto da una combinazione di fresca brezza e odore salmastro nell’aria, un netto cambiamento rispetto ai soliti odori del centro, che erano una mescolanza di gas di scarico e asfalto. Camminò frettolosamente fino ad arrivare al viale pedonale che la gente del posto chiamava Strand. Mezzo isolato più a nord, vide del nastro di delimitazione della polizia e diversi agenti che bloccavano parte della Strand ai passanti.

Mentre si dirigeva da quella parte, i suoi sensi investigativi ebbero la meglio sull’apprezzamento del posto. Osservò comunque le partite di pallavolo dopo-lavoro sulla spiaggia e le mamme che spingevano i passeggini mentre facevano la loro corsetta serale, ma studiò anche le case vicine alla scena del delitto.

Si affacciavano tutte sulla spiaggia, con porte che stavano a pochi metri dal viale. Pochissime avevano un cortile e quasi nessuna era dotata di recinzione e cancello. Sembrava che in questo quartiere la facilitГ  di accesso alla spiaggia fosse di gran lunga piГ№ importante delle precauzioni per la sicurezza.

Si sentiva leggermente fuori dal suo elemento in questo ambiente. Anche se abitava nel centro di Los Angeles, era imbarazzato ad ammettere che andava raramente in spiaggia, dato che passava la maggior parte del suo tempo nella zona circostante la stazione centrale, dove lavorava.

In quella parte della città, tutti i proprietari o affittuari di una casa avevano delle misure di sicurezza, che fosse un cancello, sbarre alle finestre o sistemi di sicurezza, o magari tutto quanto insieme. La sua amica e collega profiler Jessie Hunt aveva messo in atto tutte le misure citate, insieme a videocamere, guardie addette alla sicurezza, un garage continuamente sorvegliato e più serrature alla porta che interruttori della luce. Ovviamente aveva dei buoni motivi per farlo. Ad ogni modo, non era abituato all’atteggiamento noncurante di questa comunità da spiaggia. Ma avrebbe dovuto farsene una ragione. Non che avesse molta scelta.

Normalmente Garland Moses aveva il lusso di poter scegliere i casi che gli interessavano. Dopotutto era stato per decenni un celebre profiler per l’FBI, nell’unità di Scienze Comportamentali. Rimasto vedovo presto e senza figli, si era gettato a capofitto nel suo lavoro. Quando alla fine si era trasferito nel sud della California per la pensione, lo avevano convinto a lavorare per il LAPD come consulente. Ma solo alla condizione che potesse scegliere i casi che gli interessavano.

Ma non oggi. In questo caso, il capitano della Stazione Centrale Roy Decker lo aveva implorato di fare un’eccezione. Il marito di questa vittima, un ricco manager nel settore di gas e petrolio di nome Garth Barton, aveva elargito oltre 400.000 dollari alle forze di polizia negli ultimi tre anni. Sebbene la coppia ora vivesse a Manhattan Beach, che aveva un suo dipartimento di polizia, Barton lavorava in centro ed era al corrente della leggendaria reputazione del profiler Garland Moses.

“Barton insiste per avere te nel caso,” gli aveva detto Decker al telefono. “Allude al fatto che i suoi contributi al corpo di polizia potrebbero finire se non accetterai il lavoro. Lo considererei come un favore personale, Garland.”

Considerato il fatto che si trattava del primo favore che il capitano gli avesse mai chiesto, Garland si era dimostrato incline a concederglielo. Quando gli aveva detto di sì, Decker aveva continuato a parlare rapidamente, come se preoccupato che potesse cambiare idea.

“Prometto che il Dipartimento di Manhattan Beach sarà al servizio tuo e del tuo team,” gli aveva assicurato il capitano. “In effetti sembrano entusiasti all’idea. A quanto pare Barton ha una reputazione di vero rompi palle e loro sono più che felici di passare a qualcun altro il compito di gestirlo, soprattutto quando è emotivamente sovreccitato, come dicono sembri essere al momento.”

Mentre Garland si avvicinava all’area delimitata della Strand, si tolse dalla testa tutti i pensieri politici e si concentrò sul crimine in sé. Sapeva ben poco: Priscilla Barton era stata trovata morta nella casa dei vicini e si sospettava un delitto. Arrivò sulla scena e si guardò attorno per vedere se Ryan Hernandez, il detective della Sezione Speciale Omicidi che aveva chiesto come partner, fosse già arrivato.

Non vedendolo, si avvicinò all’agente di polizia di Manhattan Beach più vicino e gli mostrò le sue credenziali.

“Garland Moses, Dipartimento di Polizia di Los Angeles, consulente profiler forense. Chi è il responsabile qui?”

L’agente, la cui targhetta riportava il nome di Timms e che non sembrava avere tanto più di ventun anni, deglutì nervosamente.

“C’è il sergente Breem che sta gestendo le cose fino all’arrivo dei detective,” disse, la voce che tremava imbarazzata. “Adesso è dentro.”

“Ti spiace se lo raggiungo?” chiese Garland.

“No signore. È nel foyer. È lì che si trova il corpo.”

“Grazie,” rispose Garland. Si incamminò verso l’ingresso, ma poi si fermò e si girò. “Conosci i Barton, agente Timms?”

“Non proprio,” disse il giovane. “Non ho mai interagito con loro personalmente, ma li conoscevo di reputazione.”

“In che senso?”

“Il signor Barton chiamava spesso con lamentele sui suoi vicini, violazioni dei limiti del rumore, roba del genere.”

“E la signora Barton?” insistette Garland, scribacchiando furiosamente degli appunti nel suo blocchetto.

“Non voglio parlare male dei morti,” disse Timms esitante.

“Non stai parlando male. Stai solo condividendo delle informazioni. E le informazioni sono quello che ci serve per catturare l’assassino.”

Timms annuì, apparentemente convinto.

“Ok,” disse, la voce che calava a un sussurro. “Aveva una certa reputazione come stalker delle celebrità. Innocua ma fastidiosa. Un po’ di volte delle persone famose che vivono qui si sono lamentate perché se la trovavano appresso. Tentava di intavolare delle conversazioni, di farseli amici, cercava di sedersi con loro a bere qualcosa. Niente di grave. Non che facesse irruzione nelle case della gente e si mettesse sul letto ad aspettarli.”

“Ne siamo certi?” chiese Garland scettico. “Questa non è casa sua, giusto?”

Timms si fece rosso in viso.

“Non ci avevo pensato in questi termini,” disse, chiaramente imbarazzato.

“In che termini?” chiese qualcuno dietro di loro.

Garland si voltГІ e si trovГІ davanti un sorridente Ryan Hernandez.

“Lascia stare,” disse. “Come va, detective?”

“Considerando che sono stato strappato via alla comodità domestica e alla buona compagnia, diciamo che va. E tu?”

“Mi sto effettivamente godendo il cambio di scenario,” confessò Garland. “Quasi non ho voglia di entrare.”

“Eppure…” disse Ryan con riluttanza.

“… dobbiamo,” concluse Garland, facendo segno al collega di fare strada.

Mentre Hernandez camminava davanti a lui in direzione della porta, Garland si meravigliò del giovane detective. Neanche a trent’anni lui aveva mai avuto un aspetto così composto come quello di Ryan Hernandez. Ovviamente non poteva neanche sfoggiare il suo bell’aspetto.

Aveva preso in giro di tanto in tanto Jessie affermando che la sua altezza quasi da guerriera Amazzone, i suoi occhi verdi, i capelli ondulati scuri e gli zigomi ben definiti, mescolati con i capelli corti e neri del suo compagno, gli occhi castani e i pettorali così delineati, avrebbero sicuramente assicurato ai loro potenziali figli un posto di diritto sul Monte Olimpo. La cosa la faceva sempre arrossire. Decise di non fare la stessa battuta al collega.

Entrarono in casa, dove il sergente Breem, un tipo allampanato e molto abbronzato sulla quarantina, che Garland sospettГІ essere un surfista, li stava aspettando insieme ad altri due agenti e alla squadra addetta alla scena del crimine. Un medico legale stava facendo delle foto al corpo. Il marito non si vedeva da nessuna parte.

Garland si guardò attorno nel foyer, prendendo appunti sul suo blocchetto man mano che i suoi occhi scrutavano ogni dettaglio. Solo quando fu sicuro di essersi fatto un’idea della stanza, guardò la vittima. Priscilla Barton era sdraiata supina con quella che sembrava una calza avvolta attorno al collo.

Aveva evidenti capillari rotti negli occhi sgranati, evidente segno di strangolamento. Indossava un top sportivo rosso, pantaloni da yoga e una ciabatta infradito. L’altra giaceva abbandonata a metà corridoio. Non c’era rigor mortis: non si era ancora gonfiata e la pelle era solo leggermente pallida, tutti segni che suggerivano che la morte fosse piuttosto recente, probabilmente non più di due ore prima.

“Sergente Breem,” disse Hernandez, porgendo la mano per salutare e presentarsi. “Sono il detective Ryan Hernandez del Dipartimento di Polizia di Los Angeles. Questo è il nostro profiler Garland Moses. Apprezziamo la vostra offerta di partecipare a questa indagine.”

“Sta scherzando?” disse Breem quasi ridendo. “Noi siamo più che felici di starcene nelle retrovie. Non per essere insensibile, ma Barton non è un tipo facile con cui avere a che fare. È stato tutto un susseguirsi di rogne da quando lui e signora si sono trasferiti qui. Vi daremo tutto il supporto di cui avete bisogno, ma quando si tratta di interfacciarsi con quel tizio, sinceramente ci tiriamo formalmente indietro.”

“Dove si trova il signor Barton?” chiese Hernandez.

“A casa sua. Qui, alla porta accanto. Se ascoltate attentamente, lo potete probabilmente sentire che grida contro il mio agente.”

“Allora aspetteremo un po’ prima di andare a parlargli,” disse Hernandez voltandosi verso il medico legale, un tipo piuttosto giovane di nome Pugh. “Cos’hai trovato finora?”

“La temperatura corporea indica che è morta meno di tre ore fa. I segni di legatura e l’emorragia congiuntivale suggeriscono fortemente lo strangolamento. Ci sono dei lividi su braccia e petto, a indicare un possibile alterco prima della morte. Nessun segno di aggressione sessuale fino ad ora.”

“Nient’altro?” chiese Hernandez.

Il sergente Breem si intromise.

“Abbiamo trovato una bottiglia di vino con un biglietto in cucina. Sembra un regalo di benvenuto da parte sua. Il biglietto suggerisce che la vittima pensasse di avere un nuovo vicino. Ma la coppia che possiede la casa non si è trasferita. Sono in vacanza, ma non hanno affittato il posto.”

“Strano,” disse Hernandez.

Breem annuì.

“Abbiamo pensato che magari qualcuno fosse entrato in casa per rubare e che lei sia arrivata nel bel mezzo. O magari qualcuno l’ha vista entrare e l’ha seguita.”

Hernandez si voltГІ a guardare Garland, che non fece alcun commento sulla teoria. Si chinГІ invece accanto al corpo e studiГІ la calza avvolta attorno al collo della Barton.

Era una scelta strana come arma del delitto. Garland aveva visto un sacco di strangolamenti, molti eseguiti con cavi, prolunghe e addirittura a mani nude. Ma non ricordava che nessuno avesse mai strozzato a morte la vittima con una calza.

Sembra costosa.

AlzГІ lo sguardo, intenzionato a chiedere se qualcuno conoscesse la marca. Ma vedendo che il foyer era esclusivamente occupato da uomini, si prese un appunto mentale di fare una ricerca personale piГ№ tardi.

“Qualcuno può insacchettare questa?” chiese.

Un tecnico della scena del crimine si avvicinò ed eseguì gli ordini, raccogliendo la calza con una pinza e lasciandola cadere in un sacchetto per la raccolta delle prove.

“Dubito che riusciremo a ricavarne delle impronte,” mormorò Breem. “Il posto è stato tutto ripulito. Intere sezioni della casa non ne hanno neanche mezza, neppure dei proprietari. Chiunque abbia commesso il crimine è stato tanto diligente da ripulire, e pare abbia indossato dei guanti per tutto il tempo.”

“Possibilità di ricavare dalle fibre della calza resti di pelle o capelli?” chiese Garland al tecnico.

“Possibile. Ma ci vedo sopra dei pezzi di materiale che suggeriscono anche che il colpevole possa aver indossato dei guanti. Vi faremo sapere.”

Garland lasciò che Hernandez e la polizia del Dipartimento di Manhattan Beach si concentrassero sui dettagli della scena del crimine, mentre lui girovagava per la casa, cercando di farsi un’idea di quello che poteva essere successo. Non c’erano segni di colluttazioni da nessun’altra parte, il che lo faceva sospettare che la teoria di Breem – che la donna fosse stata seguita o fosse finita nel mezzo di qualcosa – potesse essere corretta. Sapeva che era arrivata almeno alla cucina prima che le succedesse qualcosa. Ma dove altro fosse stata nella casa era ancora un mistero.

“Garland!” lo chiamò Hernandez.

Garland tornГІ nel foyer, dove tutti lo stavano guardando in completa attesa.

“Sì?”

“Garth Barton vuole parlare con te,” disse Hernandez. “Sta insistendo e pare si stia innervosendo.”

“Andiamo,” sospirò Garland. “Non vorrei far aspettare il VIP. Dove si trovava quando il fatto è accaduto, comunque?”

“Ha detto che stava venendo a casa in auto e che per tutto il viaggio è stato impegnato in una riunione telefonica,” gli spiegò Breem. “Dice che il viaggio dal lavoro a casa gli richiede circa settanta o ottanta minuti. Stiamo confermando il tutto. Ma se dice la verità, ha un alibi per il momento della morte.”

“Circostanza spiacevole, se vera,” mormorò Garland sottovoce.

“Perché?” chiese Breem.

“Perché se non è stato il marito, abbiamo una vera sfida tra le mani: area fortemente trafficata, pochissima sicurezza e prove fisiche minime.” Poi, incapace di trattenere il proprio cinismo, aggiunse: “Non invidio chi dovrà risolvere questo caso.”




CAPITOLO QUATTRO


Kyle Voss si svegliГІ il mattino dopo e rotolГІ giГ№ dal letto.

Cadde a terra e fece immediatamente cento flessioni. Poi fece tre minuti di plank, seguiti da cinquanta burpee. Felicemente madido di sudore dopo essersi alzato da soli quindici minuti, andГІ in bagno e si spogliГІ.

Fissandosi nello specchio, non poteva che ammirare il proprio fisico. Due anni di prigione potevano aver messo in pausa la sua vita professionale, ma avevano fatto miracoli per il suo corpo. Era più sodo e in forma di quanto fosse mai stato anche ai tempi del football al liceo. Con un’altezza di un metro e novanta e cento chili di muscoli, pensava seriamente di essere passibile come Safety nella nazionale di football americano. Aveva i capelli biondi ancora piuttosto corti, un rimasuglio del taglio a spazzola portato in prigione. Gli occhi azzurri erano limpidi.

Si infilò sotto la doccia e aprì l’acqua completamente fredda. Si assicurò di strofinare ogni centimetro della sua pelle, rifiutandosi di fare frettolosamente e di rabbrividire. Quando ebbe finito, si asciugò e indossò il suo completo preferito. Questa era una giornata importante e lui voleva apparire al meglio.

Aveva mantenuto un basso profilo da quando era uscito di prigione, pianificando le basi per i suoi imminenti programmi senza attirare troppo l’attenzione su di sé. Ma tutto questo sarebbe cambiato oggi. Questo era l’inizio del suo re-inserimento pubblico, del suo re-inventarsi. Era cruciale per il piano generale e doveva andare bene. Sentì una strana sensazione allo stomaco e alla fine la identificò come nervosismo.

Il programma della giornata era piuttosto fitto. Anche se il giudice aveva chiuso il suo caso, Kyle doveva comunque incontrare un ufficiale di sorveglianza due volte alla settimana. Non era un problema. La presenza a queste sessioni avrebbe portato i suoi vantaggi quando il suo personaggio sarebbe stato inevitabilmente interrogato in futuro.

Dopo quell’appuntamento, aveva un incontro con la fondazione che aveva recentemente fondato, la WCP, che stava per �Wrongly Convicted Project”: progetto per detenuti incarcerati per errore. Devolveva fondi alle associazioni che fornivano supporto legale ai prigionieri che lottavano contro false accuse. Questo permetteva a Kyle anche si eseguire delle furbe magie contabili, che alla fine avrebbe utilizzato per aiutare gli amici che si era fatto dietro alle sbarre.

Dopodiché, aveva un’intervista con un notiziario locale riguardo alla fondazione. A seguire avrebbe incontrato un esperto di relazioni con i media che gli stava insegnando come concentrarsi sulla fondazione senza trovarsi incastrato in spiacevoli conversazioni sul motivo per cui era stato condannato lui stesso e tutto quel casino con Jessie. Quello sarebbe stato il suo primo tentativo di navigare quelle acque tumultuose.

Una volta terminata l’intervista con il notiziario, aveva un altro colloquio di diverso genere. Doveva incontrare una ditta di gestione finanziaria con base alle porte di Rancho Cucamonga, poco distante dalla sua residenza di Claremont. Si era trasferito nell’affascinante cittadina universitaria, una cinquantina di chilometri da Los Angeles, in modo che nessuno potesse credibilmente accusarlo che stesse tentando di intimidire la sua ex moglie. E se il colloquio fosse andato bene (i suoi amici di Monterrey gli avevano assicurato di sì), avrebbe ottenuto un’approvazione di legittimità che sarebbe stata cruciale per il lavoro che aveva programmato per le settimane e i mesi a venire.

Aveva bisogno della credibilità che derivava da una posizione stabile in una ditta di tutto rispetto. E anche se non gli piaceva ammetterlo, gli servivano pure i soldi. Si era costruito un bell’impero prima di quella cosa dell’omicidio. Ma il divorzio da Jessie e la sua difesa legale avevano prosciugato buona parte delle sue risorse. Aveva ancora accesso a dei fondi che aveva saggiamente tenuto nascosti durante il matrimonio. Ma non bastavano per portare avanti la fondazione, supportare lo stile di vita che voleva e finanziare la totale distruzione del mondo della sua ex moglie. Aveva semplicemente bisogno di un maggiore reddito.

Stava finendo di fare colazione quando suonarono alla porta. Controllò la videocamera di sicurezza usando il telefono e vide che era l’agente addetto alla sorveglianza, cosa che non era poi un totale shock. Lo avevano avvisato che le visite fuori programma a casa non erano rare e di tenersi pronto.

“Salve, signor Salazar,” disse, aprendo la porta. “Pensavo che dovessimo trovarci in ufficio da lei alle nove. Non vedeva l’ora, eh?”

“È al corrente del fatto che le visite domiciliari non programmate sono permesse, signor Voss?” chiese Salazar con tono secco.

“Certamente,” disse Kyle come se si fosse aspettato quella domanda. “Immaginavo proprio che dopo tanti viaggi nel suo ufficio, a un certo punto avrebbe ricambiato il favore. Stavo giusto finendo di fare colazione. Le posso offrire qualcosa? Caffè? Faccio delle uova strapazzate con formaggio che sono micidiali.”

“No, grazie. Non ci vorrà molto. Volevo solo vedere quali fossero i suoi programmi per la settimana per assicurarmi che tutto sia conforme agli obblighi predisposti dalla corte.”

“Certamente,” disse Kyle calorosamente, voltandosi e ritornando in casa. “Il mio calendario è in cucina.”

Salazar lo seguì con cautela. Kyle continuò a comportarsi come se fossero vecchi amici che facevano due chiacchiere, versando all’uomo una tazza di caffè e posandola sul tavolo davanti a lui. Salazar, nonostante l’iniziale rifiuto, ne prese un sorso.

Kyle spiegò dettagliatamente all’uomo l’itinerario che aveva ripassato mentalmente solo pochi istanti prima, senza accennare a qualche dettaglio, ovviamente. Nel giro di pochi minuti capì che Salazar era soddisfatto, ma continuò comunque, esponendo ogni singolo appuntamento della settimana. Lo scopo era di presentarsi così disponibile al punto che Salazar non sentisse la necessità di un’altra visita domiciliare a stretto raggio di tempo.

Funzionò. Meno di dieci minuti dopo, l’agente se ne stava andando, portandosi dietro una tazza di caffè da asporto e un contenitore di plastica con le uova al formaggio su cui aveva cambiato idea.

“Ci vediamo venerdì,” ricordò a Kyle. “Nove in punto nel mio ufficio.”

“Non vedo l’ora.”

Cinque minuti dopo era fuori dalla porta anche lui. Montò in auto e salutò gli agenti dell’FBI parcheggiati dall’altra parte della strada, dove si piazzavano di tanto in tanto da quando si era trasferito lì. Ripassò mentalmente il programma. Sapeva che tra tutti gli incontri e le interviste, sarebbe stato difficile organizzare la distruzione metaforica e fisica di Jessie Hunt. Ma era fiducioso di riuscirci. Dopotutto aveva già gestito quello che poteva rivelarsi un crollo quasi totale della sua carriera da dietro le sbarre.

Con la formidabile assistenza del cartello della droga Monzon con base a Monterrey, aveva coordinato ogni genere di incubo per Jessie. Era partito dalle piccole cose, chiedendo ai soldati del cartello di tagliarle i copertoni dell’auto. Poi era passato al nascondere le pillole, a fare chiamate anonime ai servizi sociali suggerendo che abusasse di sua sorella e, meglio di tutto, hackerare le sue pagine social e postare commenti razzisti. Quel colpo stava mostrando i suoi strascichi ancora adesso e la persona della sua ex moglie non era vista di buon occhio da tanti a Los Angeles, anche dopo che era stata tecnicamente esonerata.

Il cartello lo stava aiutando ad assicurare che ci fossero ancora delle proteste fuori dalla centrale dove lei lavorava. C’era in programma che la sua macchina venisse presto marchiata con dei graffiti. E poi sarebbe iniziato il meglio.

Prima ci sarebbe stata l’eliminazione di quelli che le stavano più vicini. E poi, quando si fosse trovata nella condizione più emotivamente vulnerabile, sarebbe andato da lei e avrebbe fatto quello che sognava da anni. All’inizio aveva pensato di squartarla e guardare il suo volto riempirsi di orrore mentre le tirava fuori gli organi e li bruciava davanti a lei. Ma ora aveva in mente qualcosa di effettivamente peggiore. La vendetta sarebbe stata stronza, per quella stronza.




CAPITOLO CINQUE


Jessie mangiucchiava nervosamente il suo muffin.

Mentre sedeva al Nicker Diner sulla South Main Street e aspettava l’arrivo di Garland Moses, aveva la strana sensazione che qualcuno stesse tradendo l’altro. Di solito lei e Ryan lavoravano insieme. Ma Ryan aveva indagato su un caso la sera precedente insieme a Garland a Manhattan Beach. La loro coalizione era una sorta di violazione personale? Lo era questo incontro per la colazione mattutina? Sapeva che logicamente era un pensiero ridicolo. Eppure la sensazione era persistente.

Garland finalmente entrò nel locale alle 8.30, una mezz’ora precisa di ritardo sull’orario che avevano concordato per il loro incontro. I suoi capelli bianchi sembravano ancora più arruffati e scombinati del solito. Gli occhiali bifocali parevano essere pericolosamente in bilico sul suo naso, pronti a cadere da un momento all’altro. Non alzò neppure lo sguardo mentre si dirigeva al tavolino che Jessie sapeva essere il suo preferito.

Jessie incrociò lo sguardo del cameriere e gli fece cenno di portare del caffè per il nuovo avventore, che sembrava averne bisogno. Dopo essere stata alzata fino a tardi, anche lei avrebbe avuto quella faccia, e aveva trent’anni, non settantuno.

“Nottata intensa?” gli chiese mentre lui si sedeva.

Garland le sorrise mestamente.

“Sono stato su ben oltre il mio solito orario per coricarmi,” ammise. “Come sono sicuro possa attestare anche il tuo ragazzo. Avrei davvero bisogno di un buon caff…”

Smise di parlare quando in quel momento una tazza piena venne posata sul tavolino davanti a lui.

“Mi ha letto nel pensiero,” disse al cameriere, che a sua volta indicò Jessie.

“A dire il vero è stata lei.”

“Questa è profilazione di qualità,” disse, prendendo un sorso dalla tazza.

“Questa non è profilazione, Garland. Sapere che vuoi un caffè quando entri qua dentro è come sapere che il sole sorge a est.”

“Grazie lo stesso,” le disse.

“Com’è andata ieri notte?” gli chiese.

“Hernandez non ti ha raccontato?”

“Stava uscendo quando mi sono alzata. Non ha voluto svegliarmi, continua a dirmi di riposare e roba del genere.”

“Magari dovresti dargli ascolto,” suggerì Garland provocatorio. “Ti stai riprendendo da ustioni multiple, una concussione e ossa ammaccate.”

“Stai cercando di fare il simpatico, Garland?” gli chiese. “Perché se la risposta è sì, ti dico che faresti bene a concentrarti sul tuo lavoro quotidiano, che a quanto pare ora è diventato anche lavoro notturno.”

“Non cercare di cambiare argomento,” ribatté Garland. “So che stai tentando di tornare al lavoro prima di quanto vogliano i medici, e non dovresti farlo. Aspetta che il tuo corpo sia pronto.”

“Come fai a sapere che sto tentando di tornare al lavoro prima?” gli chiese.

“Facile,” le rispose con un sorriso malizioso. “Ogni volta che ti pieghi o ti giri, ti irrigidisci un poco, cosa che mi fa capire che stai prendendo una dose più bassa di antidolorifici, rispetto a quella prescritta. E poi continui a spingerti in avanti come una scolaretta preoccupata che la suora di turno le sbacchetti le mani per essere stata a ciondolare sul banco.”

“Cosa c’entra tutto questo?”

“Hai paura di appoggiarti con la schiena alla sedia, perché è ancora dolorante. Quindi hai adottato la postura più composta che abbia mai visto al di fuori di un romanzo di E.M. Forster.”

Jessie scosse la testa, tanto frustrata quanto stupita.

“È quasi come se lo facessi per lavoro.”

“I complimenti li trovi dappertutto,” le disse sorseggiando ancora il caffè. “Ma dico sul serio. Dovresti andarci piano finché puoi. E poi stare alla larga dalla scena pubblica potrebbe contribuire alla scomparsa degli ultimi sprazzi derivanti da quei post razzisti.”

“I post che non ho scritto io?” gli ricordò Jessie.

“Non è questo il punto,” le disse con tono rassegnato. “Per quante prove tu possa offrire che il tuo account ha subito l’attacco di un hacker, alcune persone sono ancora intenzionate a pensare il peggio di te.”

“Quindi pensi che dovrei starmene nascosta fino a che la gente si dimenticherà di pensare che sono razzista?” gli chiese scettica.

Garland sospirò ma non abboccò all’amo.

“Magari fai quello che sta facendo la tua amica Kat,” le suggerì.

L’amica di Jessie, la detective privata Katherine �Kat’ Gentry, stava attualmente seguendo una completa riabilitazione neurologica alla Clinica Mayo di Phoenix. Era stata insieme a Jessie durante il salvataggio della donna rapita nella casa in fiamme. Entrambe avevano subito delle concussioni per l’esplosione di una bomba sulla scena.

Per Kat, che aveva prestato servizio come ranger dell’esercito in Afghanistan e si gloriava di ignorare le proprie cicatrici, sia esterne che interne, era stata almeno la sesta esplosione della sua carriera. Alla fine aveva accettato di farsi dare una controllata quando i mal di testa e i fischi alle orecchie non si erano placati ancora dopo due settimane piene. Sarebbe stata in Arizona per cinque giorni per tornare proprio quel fine settimana.

“Kat è una veterana dell’esercito che deve gestire disturbi post-traumatici da stress, ferite da esplosivo e probabilmente encefalopatia traumatica cronica,” gli spiegò Jessie. “Io sono solo una tipa che si è beccata un paio di scottature.”

Garland sorrise con fare paterno.

“Bella zuppa di terminologia medica, Jessie. E sebbene sia vero che la tua amica sta gestendo delle problematiche potenzialmente gravi, lo stai facendo anche tu. Hai subito numerose concussioni, nel tempo. E hai più cicatrici – fisiche ed emotive – di molti soldati. Quanti di loro sono stati torturati dal loro stesso padre dopo averlo guardato assassinare loro madre?”

“Probabilmente qualcuno,” rispose bruscamente Jessie con tono sarcastico.

“E quanti di loro si sono trovati coinvolti in una lotta per la vita e la morte con lo stesso padre? E hanno poi ucciso il suo seguace serial killer? E hanno avuto uno scontro con l’ex marito assassino sociopatico? E…”

“Ho capito, Garland,” lo interruppe Jessie.

Rimasero seduti un momento in silenzio.

“Sto solo dicendo che devi prenderti cura di te. Se non lo vuoi fare per il tuo benessere personale, pensa alla tua sorellina e a quell’affascinante detective che ami. Quelle relazioni soffriranno inevitabilmente se tieni il piede schiacciato sull’acceleratore tutto il tempo. Prenderti cura di te ti aiuta a prenderti cura di loro.”

Jessie annuì, prendendo un altro morso del muffin a cui non era più interessata.

“Ho notato che anche tu hai cambiato argomento,” gli disse.

“Cosa?”

“Il caso? L’avete risolto?”

“A momenti,” le disse sarcasticamente.

“Pensate di dirmi qualcosa riguardo a questo caso o no?” chiese irritata.

“Donna morta trovata nella casa di un vicino,” le disse senza mezzi termini. “Abbiamo eliminato il marito, cosa che mi ha deluso perché è davvero una persona sgradevole. Mi sarebbe piaciuto un sacco inchiodarlo come colpevole. Ma almeno significa che non dovrò più interagire con lui. Era come un’ulcera che parla e cammina.”

“Che altro?” chiese Jessie.

Lui la guardò con espressione strana, come se volesse chiederle qualcosa ma non sapesse come affrontare l’argomento.

“Ti consideri un’esperta di moda?” le domandò alla fine.

Jessie non si era aspettata questa domanda.

“So vestirmi,” disse. “Ma se intendi sapere se ho un abbonamento a Vogue, no. Perché?”

Garland fece per parlare, ma poi si interruppe, e prese invece un sorso di caffГЁ.

“Tutto qua?” gli chiese Jessie. “Non hai intenzione di spiegarmi?”

“Non penso,” le disse. “Ho già detto più di quanto avrei dovuto. Ho paura che qualsiasi altra cosa ti dica sarebbe come miele per le api e poi ne vorresti sempre di più. Devi rimetterti in sesto e non voglio mettere a repentaglio la tua ripresa. Se vuoi davvero i particolari, vai ad assillare Hernandez.”

“Uffa,” disse Jessie. “È il motivo per cui ho chiesto che ci vedessimo io e te.”

“E io che pensavo che volessi solo il piacere della mia compagnia. Questa cosa mi spezza il cuore.” Sembrava ferito, ma Jessie vide il sorriso che iniziava a curvargli le labbra.

“Sei un uomo molto sgradevole,” gli disse. “Lo sai, vero?”

Garland prese un altro sorso di caffГЁ e si concesse questa volta un sorriso pieno.

“Vuoi parlare di qualsiasi argomento non connesso al caso?” le chiese. “Ho come la sensazione che tu ti stia trattenendo.”

“Cosa starei trattenendo?” rispose Jessie con tono più petulante di quanto avrebbe voluto.

“È da un po’ che non parliamo di Hannah. Come vanno le cose?”

Jessie espirГІ profondamente.

“A volte è dolce. A volte di pessimo umore. A volte è esilarante. A volte fa la stronza. A volte è taciturna. Il solito incubo.”

“Ma non ammazza, giusto?” chiede Garland.

“Come?”

“La sorellastra che temevi potesse essere una potenziale aspirante serial killer sociopatica… non ha ancora assassinato nessuno?”

“Non che io sappia,” rispose Jessie.

“Allora gli sbalzi d’umore non mi sembrano poi tanto male al confronto,” le fece notare.

Jessie scrollГІ le spalle.

“Se la metti così, no.”

“Allora diciamo che sei fortunata,” le disse. “Considerata la vita che conduci, le cose potrebbero andare molto peggio.”

Jessie non poteva negarlo. Stava per chiedergli un parere su un’altra questione, quando il suo telefono suonò. Abbassò lo sguardo. Era il suo amico agente dell’FBI Jack Dolan, che le aveva promesso di tenere d’occhio i movimenti del suo ex marito Kyle.

“Devo rispondere,” gli disse.

“Va bene,” le disse Garland, lasciando una banconota da cinque dollari sul tavolo. “Devo comunque andare in ufficio. Probabilmente il tuo ragazzo sente la mia mancanza.”

“Vuoi un passaggio?”

“No. Hai la tua chiamata. E poi sai che mi piace camminare.”

“Ok,” gli disse rispondendo al telefono. “Ciao Dolan.”

“Ehi Jessie,” aggiunse Garland sottovoce mentre si alzava in piedi.

“Aspetta un secondo, Dolan,” disse al telefono prima di sollevare lo sguardo sull’uomo trasandato davanti a lei. “Sì, Garland?”

“Ricorda solo che hai in mano tu le redini della tua vita. Non Decker, né Hannah, né Hernandez, e neanche nessun serial killer. A volte è difficile vederla da questo punto di vista. Ma hai sempre delle scelte.”

“Grazie, Confucio,” gli disse, facendogli l’occhiolino. “Ci sentiamo dopo, ok. Devo rispondere. Riguarda Kyle.”

Garland sorrise, soffiò leggermente e si incamminò verso l’uscita, il cespo ribelle di capelli bianchi che svaniva in lontananza mentre lui si mescolava con la folla frettolosa.

“Eccomi qua,” disse Jessie. “Cos’hai per me, Jack?”

“Cattive notizie. Si tratta del tuo ex marito.”




CAPITOLO SEI


“Aspetta un minuto,” disse Jessie mentre il cuore le scendeva nello stomaco. “Devo trovare un posto più riservato dove parlare.”

Jessie quasi si pentì dell’attesa. I tre minuti che le ci vollero per pagare, uscire dalla caffetteria e salire in auto le parvero interminabili. Dolan, un duro cinico con l’atteggiamento solo leggermente smussato dalle uscite mattutine con il surf, non era uno che si facesse riconoscere per l’uso di iperboli. Se diceva che una situazione era brutta, generalmente significava che era anche peggio. Jessie pensò di essere sul punto di vomitare il quarto di muffin che aveva mangiato.

“Dimmi,” disse bruscamente quando riattivò la comunicazione interrotta.

“La versione breve è che non abbiamo niente.”

“Sono passate più di tre settimane,” protestò Jessie. “Mi stai dicendo che per tutto il tempo ha fatto il cittadino modello?”

“Già,” rispose Dolan, “sospettosamente sì. Il peggio che ha fatto è stato andare dritto a un segnale di Stop. Ovviamente sa benissimo che lo stiamo guardando. Saluta con la mano i nostri agenti quando va a prendere la sua auto.”

“Non stanno tentando di mantenere un basso profilo?”

“All’inizio sì. Ma il tipo è piuttosto sveglio, come sai. Ha notato il nostro furgone la prima settimana, quindi è sembrato uno spreco usarlo di nuovo le volte seguenti. Abbiamo usato berline non contrassegnate da allora. La verità è che i miei capi stanno facendo il braccino corto nell’utilizzo di risorse. Molto presto mi faranno ridurre a un solo agente. Non sarei sorpreso se decidessero di abbandonare del tutto la sorveglianza alla fine della settimana, se non salterà fuori nulla. A quel punto sarà passato un mese senza nessun risultato.”

“Ma è esattamente quello che lui sta aspettando,” insistette Jessie. “Si sta trattenendo fino a che voi non tirerete indietro i vostri e lui sarà libero di fare il colpaccio.”

Jessie poteva sentire affiorare una familiare ansia, ricordando quanto suo marito fosse solito presentare una facciata affascinante, che mascherava tutta la bruttura sottostante.

“Tu lo sai e io lo so,” le disse Dolan, chiaramente frustrato. “Ma questo non significa molto per i piani alti. Loro vogliono vedere i risultati. E noi non gliene abbiamo dato neanche mezzo. Devi vederla dal loro punto di vista.”

“Cosa vorrebbe dire?” chiese Jessie.

“Ricorda: tecnicamente il tuo ex marito è stato liberato per illecito da parte delle forze dell’ordine delegate. Non vogliono essere accusati di importunare un uomo che è stato già maltrattato dal sistema. È una questione politica. Il fatto che sia un assassino si perde là dentro. Quindi, allo stato dei fatti, abbiamo dovuto muoverci con cautela. Siamo vicini al punto in cui la speranza di beccarlo a commettere qualcosa di illegale viene sopraffatta dalla possibile reazione negativa dei giornali contro di noi. Oggi potrebbe essere un momento critico su quel fronte.”

“Perché?” chiese Jessie, anche se già poteva immaginare la risposta. Kyle stava per passare alla modalità relazioni pubbliche.

“Perché più tardi in mattinata ha un’intervista programmata con una nuova stazione,” le rispose Dolan, confermano la sua intuizione. “Tecnicamente l’intervista riguarda la sua fondazione. Ma non resterei scioccato se saltasse fuori anche la sua attuale situazione personale. E il mio supervisore è preoccupato che possa fare cenno alla sorveglianza che si trova addosso.”

Jessie si rese conto che stava sudando, anche se non era sicura che fosse per le parole di Dolan o per la temperatura mattutina che stava rapidamente salendo. Accese il motore e premette il pulsante dell’aria condizionata.

“E che mi dici del sospetto che sia coinvolto con il cartello Monzon?” chiese. “Non hanno paura che ritirando la sorveglianza lui potrebbe contattarli senza che nessuno se ne accorga?”

“Abbiamo altri potenziali modi per tenerlo d’occhio. Abbiamo l’autorizzazione del giudice a posizionare sulla sua auto un tracciatore, installare cimici e videocamere in casa sua, addirittura monitorare le chiamate. Ma considerato il fatto che un giudice ha appena dato una lavata di capo a un pubblico ministero per abuso d’ufficio…”

“Un pubblico ministero che è stato sicuramente minacciato dal cartello,” lo interruppe Jessie.

“Cosa che non possiamo provare,” ribatté Dolan. “I miei capi sono preoccupati che il giudice che ha autorizzato i controlli sia dubbioso sulla possibilità di estendere la sorveglianza, se pensa che ci sia in ballo la sua reputazione. Siamo in una situazione delicata qui.”

Jessie scosse la testa, anche se nessuno poteva vederla. Neanche un mese, e Kyle giГ  stava manipolando il sistema a proprio vantaggio. TremГІ al pensiero di cosa avrebbe potuto fare in un altro mese di libertГ .

“Questo è esattamente quello che voleva, lo capisci vero?” sottolineò Jessie. “Sa che gli state alle calcagna, ma non si è ancora lamentato. Sta usando questa strategia per convincervi che è tutto a posto, pronto a fare il colpaccio quando ne avrà bisogno. Si sta tenendo le mani pulite fintanto che gli fa comodo. Non vuole lagnarsi con la stampa se può essere certo che voi non gli sarete dannosi. Quello se lo tiene per momenti migliori. Fa tutto parte del suo piano.”

Sentì Dolan sospirare pesantemente attraverso il telefono.

“Non c’è bisogno che tu mi convinca, Jessie,” le assicurò. “Sono dalla tua parte. Mi sto solo chiedendo se sia il caso di tirare indietro i nostri adesso, prima che faccia qualche accusa. Così potremo legittimamente affermare che non lo stiamo seguendo né importunando. Posso formulare per la stampa un messaggio dove diciamo che abbiamo solo impiegato degli agenti per controllarlo di tanto in tanto. Se ne verrà fuori un’immagine di lui come uno pieno di complessi di persecuzione, la cosa andrà a scalfire la sua credibilità. Non è l’unico a poter fare questo gioco.”

“No, ma è più bravo di chiunque altro a farlo. Non sottovalutarlo.”

“Non lo farò,” le promise Dolan. “Senti, sappiamo che Kyle è fuori di prigione perché ha convinto il cartello che era degno del loro tempo e del loro sforzo. Sappiamo che sono stati anche ben disposti ad aiutarlo a distruggere la tua vita per lui. Prima o poi dovrà sdebitarsi con loro. Molto presto qualcosa si incrinerà con questi tizi.”

“Sì. Spero solo che si incrini prima che lui trovi un modo per incrinare me.”


*

Jessie sentiva che Ryan stava cercando di non girare il dito nella piaga.

“Come sono state le vostre giornate?” chiese a lei e ad Hannah mentre lavava i broccoli per la cena, non facendo ovviamente alcun accenno al caso.

Hannah stava preparando una marinata per l’agnello mentre Jessie cercava la pentola da arrosto.

Era evidente che sperava che stando in silenzio sulla sua giornata, non l’avrebbe resa gelosa del fatto che lui stava indagando su un omicidio mentre lei era rinchiusa in appartamento. Pensò che fosse un gesto carino, anche se presto gli avrebbe dimostrato che era inutile.

“Solo altre due settimane di scuola,” disse Hannah allegramente. “Poi ci saranno le vacanze estive. È fatta.”

“Fantastico,” rispose Ryan.

“Non dimenticarti che hai i corsi estivi,” le ricordò Jessie, odiando il proprio tono da maestrina.

“Lo so,” disse Hannah, accentuando il sarcasmo. “Ma vale per le scuole per �ragazzi normali’ e non per i licei dove ci sono studenti che �affrontano estreme difficoltà emotive e psicologiche’. E poi sarebbe comunque tra un altro mese. Per favore, non schiacciare il mio spirito già di per sé fragile.”

“Scusa,” disse Jessie.

“E la tua giornata?” chiese Ryan a Jessie, cambiando rapidamente argomento.

“Sarebbe potuta andare meglio,” ammise lei. “Dolan mi ha detto che non sono riusciti a inchiodare Kyle. È stato praticamente un chierichetto da quando è uscito. Stanno considerando di ritirare la sorveglianza.”

“Che schifo.”

“Davvero,” confermò lei. “Quasi quanto essere tenuta da parte dal mio compagno e dal mio mentore professionale quando cerco di avere dettagli sul caso a cui stanno lavorando, perché sono preoccupati che mi metta a sbavare davanti a loro.”

“Uh-oh.”

“Uh-oh cosa?” gli chiese.

“Uh-oh, Garland mi aveva avvisato che saresti arrivata a chiedermi informazioni perché lui non ne aveva condivise.”

“Ah sì?” insistette lei. “Ti ha dato dei consigli su come gestirmi?”

“Ha detto di restare forte e di non lasciarmi intimidire dal tuo feroce interrogatorio.”

Jessie sorrise malevola.

“Come pensi che te la caverai?”

“Sono sicuro di potercela fare,” le disse, camminando verso la camera da letto. “Ma prima vado a farmi una doccia.”

“Sai che le tattiche di stallo funzionano solo fino a un certo punto,” gli gridò mentre scompariva alla vista senza rispondere.

Jessie fissГІ la porta, chiedendosi se avrebbe potuto bruciarla con la sola intensitГ  del suo sguardo.

“Ehm,” mormorò Hannah titubante. “Odio infierire quando sei già così infervorata, ma l’agnello che volevo fare arrosto ha un odore strano. Penso che dovremo buttarlo via, il che significa che non ci sono programmi per la cena.”

Jessie sentì le spalle che si afflosciavano involontariamente. Questa giornata stava finendo male come era cominciata.

“Ho il piano di riserva,” disse alla fine.

“Ti prego, non dirmi che intendi provare a cucinare qualcosa,” disse Hannah con tono sinceramente preoccupato.

“Sai, sono riuscita a mettere la cena in tavola quasi tutte le sere per anni prima che tu venissi a vivere qui. Abbia un minimo di fede.”

“Quasi tutte le sere?” ripeté Hannah.

“Certe sere non avevo così tanta fame,” disse Jessie sulla difensiva.

“Giusto,” rispose Hannah, poco convinta. “Ordini una pizza, vero?”

Jessie sentì una fitta di vergogna al sentire quelle parole.

“Sì, ordino la pizza.”




CAPITOLO SETTE


Quando Garland fu arrivato in cima alla collina, il sole era giГ  tramontato.

Mentre percorreva la strada ormai familiare fino a Manhattan Beach, poteva ancora vedere l’oceano dove le onde si infrangevano in prossimità della spiaggia. Ma non aveva proprio la stessa maestosità della sera precedente, quando il crepuscolo stava solo iniziando a calare.

Si disse che non aveva importanza, che era tornato qui per la seconda sera di seguito per un’indagine, non per il panorama. Ma non ne era del tutto convinto neppure lui. Sì, qualcosa nella scena del crimine gli stava rodendo dentro. Però la verità era anche che stava cercando una scusa per fare due passi lungo le ventilate strade della spiaggia per surfisti, con i loro ristorantini con veranda e i negozi per la degustazione vini.

Trovò un parcheggio vicino alla strada principale e scese dall’auto, percorrendo la Highland Avenue fino alla stazione di polizia. Strada facendo, poté sentire un odore che assomigliava a costolette arrosto provenire a un ristorantino all’angolo. Passò accanto a una bancarella con stampe neozelandesi e indiane e resistette all’impulso di mettersi a curiosare.

Andò invece dritto fino al quartiere della centrale, dove diede il proprio nome al sergente al banco. L’agente Timms della sera precedente uscì dall’ufficio e gli diede la chiave della casa di Charles e Gail Bloom, dove Priscilla era morta.

“Posso venire con lei, se vuole,” si offrì il giovane agente. “Ho il turno di notte e qui le cose sono piuttosto tranquille.”

“Grazie,” rispose Garland. “Ma a volte mi piace stare da solo sulla scena, senza nessuna distrazione. Trovo che mi sia di aiuto per scoprire cose che prima mi sarebbero potute sfuggire. Ma prometto di restituire la chiave tra poche ore.”

Dopo aver lasciato la centrale, Garland passeggiò casualmente scendendo il ripido viale pedonale che conduceva alla Strand. A quell’ora, quasi le nove di sera, era per lo più tranquillo. C’era qualcuno che faceva jogging e alcune persone che portavano fuori il cane per l’ultima uscita prima della notte. In effetti dovette aggirare la scia di urina lasciata da un canide particolarmente negligente.

Percorse lentamente l’ultimo isolato fino alla casa dei Bloom, ascoltando il rumore delle onde e il richiamo dei gabbiani. Sapeva che una volta entrato in quella casa, il suo cervello sarebbe partito in quarta e tutti i piccoli piaceri che ora stava apprezzando sarebbero stati immediatamente dimenticati. Stava solo tentando di ritardare l’inevitabile.

Quando arrivò, scivolò sotto al nastro di delimitazione della polizia, assicurandosi di restare nell’ombra in modo che il recente vedovo Garth Barton non lo vedesse se per caso stesse guardando fuori dalla finestra. Solo perché era stato scagionato, non voleva dire che quell’uomo non fosse uno stronzo. Garland era felice che fosse la polizia del posto a farsi venire il mal di testa trattando con lui.

Aprì la porta ed entrò. La casa era buia, anche se ancora si vedeva il segno del gesso a indicare dove si era trovato il corpo di Priscilla Barton. Guardando quel punto, ricordò la conversazione che il detective Hernandez aveva detto di aver avuto quella mattina con i proprietari.

Era sorprendente che neanche la notizia di una donna morta nel loro foyer bastava a farli tornare dalla loro vacanza. Purtroppo, con loro e il marito della vittima eliminati dall’elenco dei sospettati, attualmente stavano sbattendo contro un muro. Ecco perché era venuto qui: per trovare un nuovo punto di vista.

Fece un giro di perlustrazione al piano terra prima di salire di sopra, motivo principale per cui era tornato. C’era qualcosa che lo aveva preoccupato per tutto il giorno, ma non aveva capito cosa fosse fino a che non si era trovato in auto, diretto verso casa. Quando si era reso conto di cosa fosse, era ormai quasi rincasato. Invece di continuare, aveva girato la macchina verso sud per tornare alla villa dei Bloom. Strada facendo aveva chiamato il Dipartimento di Polizia di Manhattan Beach per dire loro che intendeva dare un’altra occhiata alla scena, e loro gli avevano assicurato che alla centrale avrebbe trovato la chiave ad aspettarlo.

In cima alle scale, accese la sua piccola torcia e imboccò il corridoio fino alla camera matrimoniale. Dopo essersi permesso un momento per osservare la grande stanza con il letto a baldacchino, si spostò verso quello che immaginò essere il comò di Gail Bloom. Anche se si sentiva un po’ un pervertito, si infilò i guanti e aprì il primo cassetto, che ipotizzò contenere la biancheria intima della donna. A volte il lavoro richiedeva azioni insolite.

Spostò il fascio di luce della torcia verso il cassetto e rovistò delicatamente tra la biancheria della donna. Dopo un’attenta ispezione, tirò fuori il telefono per controllare di nuovo quella che sembrava essere l’arma del delitto usata su Priscilla Barton: una calza. La marca, chiama Only the Best, era molto costosa, come aveva appreso facendo delle ricerche online.

Ma guardando nel cassetto di Gail Bloom, non trovò nessun paio di calze di quella marca, né altre calze in generale, tra l’altro. E quindi non ne vide neppure nessuna di spaiata, né nel cassetto, né sopra al comò. Si accucciò a terra per vedere se fosse magari caduta sotto al mobile, ma non trovò nulla.

Tirò fuori il suo bloc notes e annotò brevemente la sua conclusione: i Bloom non sembravano essere in possesso di quelle calze. Quella era un’informazione strana e potenzialmente utile. Se la calza non era della padrona di casa, allora l’assassino non l’aveva presa al volo usandola come arma improvvisata. Lui o lei doveva essersela portata in casa.

Ma perchГ©? Chi se ne andava in giro con una singola calza da donna?

I suoi pensieri vennero interrotti da una tavola scricchiolante dietro di lui. Garland si infilò lentamente il bloc notes in tasca e si alzò in piedi lentamente, anche se i suoi pensieri stavano correndo selvaggiamente. Poteva sentire il rumore di un pesante e soffocato respiro a pochi passi da sé, e riusciva effettivamente anche a percepire il calore corporeo di un’altra persona all’interno della stanza. Strinse con forza la piccola torcia, ben consapevole che si trattava dell’unica cosa simile a un’arma in suo possesso.

Cercò di ricordare l’addestramento dei giorni trascorsi da giovane all’FBI, ma erano passati più di quarant’anni. La cosa più vicina a un alterco fisico che gli fosse capitata recentemente era quando un ragazzo con lo skateboard lo aveva fatto cadere per terra l’anno scorso mentre gli sfrecciava accanto sul marciapiede.

Alla fine Garland decise di far fare il lavoro all’adrenalina e all’istinto. Ma non intendeva aspettare che lo attaccassero. Quindi, alla rapidità che gli era concessa dalle sue ossa doloranti, ruotò e puntò la torcia in direzione del pesante respiro.

Vide immediatamente il suo assalitore, che indossava abiti neri e un passamontagna e teneva una cintura di pelle in mano. Anche se il volto non era visibile, la struttura suggeriva che fosse un uomo. Garland fece un passo verso l’uomo, che alzò una mano per schermare la luce e si lanciò in avanti. Sbatterono con forza l’uno contro l’altro, ma il vantaggio di peso dell’uomo spinse Garland con la schiena contro il comò. I suoi occhiali volarono via. Sentì gli spigoli del comò che sbattevano contro la sua schiena e sbuffò.

Cercò di ignorare il dolore e si concentrò sulla figura, che si stava di nuovo lanciando velocemente contro di lui. Mentre l’uomo correva in avanti, Garland spostò la torcia verso l’alto, colpendolo sul lato sinistro del busto, subito sotto alla cassa toracica. L’avversario inspirò con forza, piegandosi a metà e permettendo così a Garland di spingerlo a terra.

Poi l’anziano detective lo aggirò e scattò verso la porta della camera da letto. Anche da quella breve distanza, tutto gli sembrava appannato senza occhiali. A tre passi circa dal corridoio, sentì una mano che si stringeva con forza attorno alla sua caviglia destra, tirando indietro e facendogli perdere l’equilibrio. Cadde sul pavimento. Con il tonfo sentì uno scricchiolio e un dolore lancinante all’anca destra. Nonostante tentasse di trattenersi, gridò.

Cercò comunque di ignorare il dolore bruciante. Voleva rotolare in modo da non trovarsi in una posizione così vulnerabile, ma il suo corpo non gli obbediva. Fece invece l’unica cosa che gli venne in mente. Cercò di strisciare fuori dalla stanza. Ma subito sentì il peso dell’altro uomo che gli montava sopra, bloccandolo all’altezza della vita.

Il disagio fisico era insopportabile e le ondate di dolore si irradiavano dall’anca. Ma quello non era niente confronto alla stretta di paura che gli stava ora avvolgendo il corpo intero. C’era un uomo sopra di lui, con una cintura in mano, e lui non poteva farci fisicamente niente.

Ebbe un brevissimo attimo di consapevolezza, pensando che stava vivendo lo stesso momento di terrore provato da tantissime delle vittime che aveva visto. Poi, decidendo di non volersi unire a loro, smise di lottare per fuggire e spinse invece la fronte contro la moquette e tirГІ i pugni contro il proprio collo per proteggerlo preventivamente.

Un attimo dopo sentì la cintura che roteava sopra alla sua testa, sentì l’uomo che tentava di farla passare tra la sua fronte e la moquette per mettergliela attorno al collo. Il movimento gli sbucciò un po’ la pelle della fronte, ma ignorando il dolore Garland allargò le mani strette a pugno e afferrò la cintura in modo da creare una barriera tra essa e la sua gola.

L’uomo sopra di lui parve non curarsene. Tirò con forza così che le nocche di Garland si trovarono schiacciate contro il suo pomo d’Adamo, facendolo annaspare per respirare. L’odore dei suoi guanti in lattice gli riempì le narici. Inspirò come poté e tentò di tenere la cintura un po’ allentata mentre pensava a qualcosa da fare.

Si guardò attorno disperato. Tutto sembrava indistinto. Eppure doveva esserci qualcosa lì vicino da poter afferrare, o una qualche manovra da provare. Doveva esserci un qualche modo per ingannare il suo aggressore. Quarantacinque anni a fermare assassini non potevano concludersi così.

Ma non c’era nulla: niente da prendere, nessun modo di poter gridare. Era incastrato. Sarebbe morto su quella moquette, in quella casa, a pochi metri da persone che aspettavano che i loro cagnolini facessero i loro bisogni in modo da potersene andare a letto. Non aveva nessuna opzione.

Ma mentre il suo pensiero si faceva più affaticato e i suoi pensieri più appannati, si rese conto che non era del tutto vero. Poteva anche non sopravvivere a questo, ma poteva fornire un indizio su chi fosse il colpevole. Il detective Ryan Hernandez avrebbe di sicuro indagato sulla sua morte, e se l’avesse fatto si sarebbe consultato con Jessie Hunt. Se Garland poteva fornire un indizio sul colpevole, Jessie lo avrebbe potuto scoprire. Se c’era qualcuno che poteva farlo, era lei.

Quindi decise di fare l’unica cosa che gli venne in mente. Premette il corpo in basso verso la moquette con più forza possibile, creando spazio tra il proprio corpo e quello dell’uomo sopra di lui. Poi, quando sentì che il suo aggressore tirava al massimo della sua forza, smise di lottare e gli permise di farsi tirare indietro la testa in modo aggressivo.

Aveva sperato di poter colpire il volto dell’uomo, di lasciargli un livido visibile. Invece sentì che la sua nuca andava a sbattere contro qualcosa di duro ma meno prominente. Udì uno scricchiolio. L’uomo gemette e allentò leggermente la presa. Garland immaginò si trattasse della clavicola.

Per una frazione di secondo fu tentato di cercare di divincolarsi, ma sapeva che non avrebbe avuto alcun effetto. L’altro uomo era già in vantaggio. Usò invece quella brevissima pausa per prendere un’altra boccata d’aria e dare un’altra testata indietro. Il grido dell’uomo gli fece capire che era andato a segno un’altra volta.

Ma poi l’uomo parve trovare una nuova riserva di forza e furia. Garland sentì la cintura che lo stringeva con maggior forza di prima e scoprì di non poter più fare leva con i pugni. In realtà poteva sentire il sangue che pompava nella carotide mentre la cintura premeva contro il dorso delle sue mani. Un altro strattone violento gli schiacciò la trachea e lui sentì il suo respiro diventare roco.

Tutt’a un tratto notò che il dolore all’anca, alla schiena, alle mani e alla gola stava svanendo. Si chiese da cosa potesse derivare. E poi, con un ultimo pensiero coerente, gli venne in mente: stava perdendo conoscenza per quella che sarebbe stata la sua ultima volta.




CAPITOLO OTTO


Jessie si mise seduta di scatto sul letto.

Il rumore del telefono di Ryan che suonava l’aveva strappata alla migliore notte di sonno che avesse avuto in settimane. Riconobbe subito la suoneria. Era il capitano Decker. Guardò la sveglia posata sul comodino. Erano le 2:46. Perché il capitano della loro centrale chiamasse a quell’ora del mattino, doveva essere successo qualcosa di davvero grave.

“Pronto,” disse Ryan dopo aver rovistato con il telefono per diversi secondi.

Jessie poteva sentire la voce di Decker, ma il capitano parlava più sottovoce del solito, impedendole di distinguere una sola parola. Jessie notò però che il corpo di Ryan si irrigidì visibilmente.

“Ok,” disse lui sommessamente, accendendo la luce e mettendosi a sedere.

Decker continuГІ a parlare per un altro mezzo minuto mentre Ryan ascoltava senza mai interromperlo.

“Certo,” disse alla fine, e poi riagganciò.

“Cosa c’è?” chiese Jessie.

Ryan si alzГІ dal letto, dandole le spalle mentre si infilava i pantaloni.

“C’è stato un altro omicidio a Manhattan Beach,” disse sottovoce, “nella stessa casa di quello precedente, a dire il vero. Decker vuole che vada lì subito.”

C’era nella sua voce qualcosa che Jessie trovò disturbante, anche se non era in grado di interpretarlo. Sembrava stesse facendo fatica a mantenere la sua compostezza.

“Cosa sta succedendo, Ryan?” gli chiese. “Ti stai comportando in modo strano.”

Lui si voltò a guardarla e Jessie ebbe l’impressione che i suoi occhi fossero lucidi. Sembrava sul punto di rivelarle qualcosa, ma poi la sua espressione mutò e lei capì che aveva cambiato idea.

“Mi sa che sono solo fuori forma. Non mi aspettavo di essere svegliato nel mezzo della notte con questo genere di notizia. Non era quello che speravo.”

Ebbe ancora l’impressione che le stesse nascondendo qualcosa, ma non insistette.

“C’è niente che posso fare per aiutarti?”

“Grazie, ma no. Dovresti tentare di tornare a dormire. La cosa migliore che puoi fare in questo momento è prenderti cura di te.”

“Ok,” disse lei prima di chiedere: “Garland ti viene incontro lì?”

Ryan mandò giù una grossa sorsata d’acqua dal bicchiere sul comodino prima di risponderle.

“È già lì,” le disse, alzandosi in piedi.

“Piuttosto impressionante per un vecchietto,” commentò lei, incapace di nascondere il proprio stupore. “Quell’uomo è pieno di sorprese.”

“È un bel tipo,” confermò Ryan mentre si chinava su di lei per darle un bacio sulla fronte. “Cerca di tornare a letto. Ci sentiamo domani mattina.”

“Ti amo,” disse Jessie mentre si sdraiava di nuovo.

“Anch’io ti amo,” le rispose lui sottovoce spegnendo la luce sul comodino e uscendo.

Nonostante l’ammonizione di Ryan, Jessie non riuscì a prendere sonno. Per i venti minuti successivi, si agitò e rigirò, ma non fu capace di trovare una posizione comoda. Qualcosa nell’atteggiamento di Ryan quando aveva ricevuto la telefonata continuava a ritornarle alla mente.

Quando stava ascoltando la telefonata di Decker, Ryan aveva assunto un’espressione che lei non gli aveva quasi mai visto in volto. Non era semplice shock o tristezza. Era una combinazione che sembrava più grande e molto più profonda. E poi le venne in mente. Per un secondo, prima di riuscire a ricomporsi, le era apparso devastato.

Si mise a sedere. Ora era impossibile che potesse riaddormentarsi. AndГІ in bagno e si spruzzГІ il viso di acqua fresca. Fissando la propria immagine nello specchio, fu contenta di vedere che i suoi occhi non erano cerchiati dal classico rossore della stanchezza. Ovviamente questo sarebbe presto cambiato se fosse rimasta in piedi tutto il giorno a partire da adesso, come sembrava essere il caso.

Tornò al letto e si risedette. La sua mente continuava a tornare all’espressione di Ryan quando Decker aveva iniziato a parlargli. Qualsiasi cosa il capitano gli avesse detto, riguardava qualcosa di orribilmente sbagliato.

Jessie prese il telefono e stava per chiamare Garland quando ci ripensò. Ryan le aveva detto che si trovava già sulla scena del crimine. Questo significava che probabilmente era molto impegnato e sicuramente non dell’umore per dare delle risposte alle sue domande. Chiamò invece la reception della stazione centrale, dove il sergente di turno le diede l’indirizzo di Manhattan Beach.

Senza neanche riconoscere formalmente a se stessa quello che stava facendo, iniziò a vestirsi. Cinque minuti dopo era pronta per partire. Scribacchiò un rapido appunto per Hannah e fece scivolare il bigliettino sotto alla porta della sua camera. Poi uscì di casa, assicurandosi di attivare tutti i sistemi di sicurezza da remoto mentre si dirigeva verso la sua auto.

Sapeva che Ryan e Garland si sarebbero incazzati vedendola apparire così e intromettersi sulla scena del crimine. Ma non le interessava. C’era qualcosa che non andava. Se lo sentiva nelle ossa.


*

Pur perdendosi un poco, Jessie arrivò alla spiaggia in un batter d’occhio. Ma alle 3:30 del mattino ci voleva comunque la metà del tempo, anche sbagliando l’uscita e dovendo tornare indietro di un tratto. Le strade erano per lo più silenziose. Mentre si avvicinava alla costa, una spessa coltre di nebbia calò attorno a lei, facendo assomigliare i lampioni a delle soffuse lanterne di un isolato faro. Il loro bagliore donava allo scenario un’atmosfera piuttosto tetra.

Quando arrivò, Jessie parcheggiò in Manhattan Avenue, subito a ovest del molo e a un isolato circa da dove il GPS le indicava l’indirizzo di destinazione. Percorse a passo rapido la Strand. Anche se a quell’ora del mattino non poteva vedere l’oceano, si sentivano le onde che si infrangevano sulla spiaggia vicina.

Non dovette cercare molto o sforzare la vista per trovare la sua destinazione. Quando fu sulla Strand, anche con la nebbia il cielo era rischiarato dalle luci di diversi veicoli di emergenza. Mentre si avvicinava alla casa, Jessie contò almeno mezza dozzina di auto della polizia, un’ambulanza e il furgoncino del medico legale. L’intera area attorno alla villa era pattugliata da diversi agenti che stavano di guardia, evitando che eventuali curiosi si avvicinassero troppo.

Jessie si avvicinГІ a un giovane agente dal volto spaventato e mostrГІ il proprio cartellino, immaginando che fosse il modo piГ№ semplice per passare la barriera.

“Lavoro con il detective Hernandez,” disse in modo vago. “Puoi dirmi dove si trova?”

“È di sopra,” disse l’agente. Anche se non l’aveva mai incontrato, Jessie ebbe l’impressione che il giovane fosse piuttosto scosso. Guardò il suo cartellino identificativo.

“Tutto bene, agente… Timms?”

“Si, signora,” le assicurò lui, ricomponendosi. “È solo che avevo conosciuto la vittima. Mi piaceva. E poi sono stato io a trovarlo.”

“Capisco,” disse Jessie, dandogli una pacca amichevole sulla spalla. “Non è mai facile quando c’è un collegamento personale.”

“No, signora,” disse lui, sollevando il nastro di delimitazione per farla passare sotto.

“Come ti è capitato di trovare la vittima così a notte fonda?”

Si rese conto che la domanda suonava accusatoria, anche se non aveva voluto porla con quell’intenzione.

“Avrebbe dovuto restituire le chiavi dopo qualche ora. Non vedendolo tornare, sono venuto a dare un’occhiata e…” Cedette, sopraffatto dall’emozione.

Jessie avrebbe voluto chiedere perché qualcuno avrebbe dovuto restituire una chiave alla polizia così a notte fonda, ma capiva che il ragazzo non era nella condizione di risponderle, quindi lasciò perdere.

“Grazie per il tuo aiuto, agente,” gli disse. Incapace di pensare a nient’altro da dire per confortarlo, si girò e si diresse verso la casa.

Mostrò il proprio cartellino anche all’agente che stava di guardia alla porta. Lui si fece da parte per farla entrare. Jessie guardò il pavimento del foyer e vide il contorno tracciato con il gesso dove si era trovata presumibilmente la prima vittima. Sollevò poi lo sguardo verso la sommità delle scale, da dove sentiva provenire diverse voci. Una di esse sembrava quella di Ryan.

Iniziò a salire le scale, quando un altro agente che si trovava alla base delle stesse e che sembrava essere un sergente alzò una mano. Diversamente dall’agente Timms, questo sembrava più anziano ed esperto.

“Posso aiutarla, signora?” chiese con gentilezza ma allo stesso tempo con tono duro.

“Lavoro con il detective Hernandez,” disse Jessie, mostrando per la terza volta le proprie credenziali.

“Gli faccio sapere che è qui,” disse il sergente, il cui cartellino diceva �Breem’, senza però spostarsi.

“Sento la sua voce,” disse Jessie con tono più irritato di quanto avrebbe voluto. “Posso farglielo sapere io quando arrivo di sopra.”

“Mi spiace, signora. Il detective Hernandez è stato chiaro quando ha ordinato che nessuno deve salire senza la sua esplicita autorizzazione. Vuole che le cose siano fatte in modo estremamente meticoloso in questo caso.”

“Fa così con tutti i casi,” rispose Jessie con vigore.” Cos’è che rende diverso questo?”

L’agente la guardò perplesso. Aprì la bocca per risponderle, ma prima che potesse parlare, una voce familiare la chiamò dal piano superiore.

“Jessie?” disse Ryan guardando dal pianerottolo. “Cosa ci fai qui?”

Lei alzò lo sguardo e capì immediatamente che era turbato da qualcosa che non era per niente connesso alla sua presenza lì. Mentre lo fissava, un senso di timore iniziò a pervaderla. Scattò su per le scale prima che il sergente Breem potesse fermarla. L’uomo fece per seguirla, ma vide Hernandez scuotere la testa.

“Va tutto bene, sergente,” gli disse.

“Cosa sta succedendo, Ryan?” chiese Jessie sottovoce, quando lo ebbe raggiunto in cima alle scale.

“Devo parlarti privatamente fuori di qui,” sussurrò lui.

“No. Cosa sta succedendo? Dov’è Garland?” chiese, passando oltre e guardando dentro alla camera da letto.

Sbatté le palpebre lentamente, sperando che ciò che stava vedendo sul pavimento della stanza fosse un’illusione. Ma quando riaprì gli occhi, era ancora lì. Tra il medico legale e un tecnico addetto alla scena del crimine, era steso Garland Moses. Morto.




CAPITOLO NOVE


Jessie si sentì stringere il petto e scoprì di non riuscire a respirare.

Cercò di parlare, ma dalla sua bocca uscì solo un roco sbuffo. Deglutì a fatica, cercando di lubrificare la gola improvvisamente asciutta. Allungò la mano per appoggiarsi al parapetto mentre strizzava gli occhi guardando Ryan, chiedendosi se questo potesse in qualche modo cambiare le cose.

“Mi spiace,” le disse, allungando le braccia verso di lei.

Jessie scosse la testa violentemente e lui si fermГІ.

“Cosa?” gli chiese con tono assente, anche se l’aveva sentito benissimo.

“Vieni con me,” le disse lui, prendendola per un braccio e guidandola fino a un balcone alla fine del corridoio.

Si voltò a guardarla e aprì la bocca, ma non successe niente. Richiuse la bocca, apparentemente in difficoltà su come cominciare. Poi riprovò.

“Pare che ieri sera sia tornato qui per controllare una pista. Da quello che abbiamo trovato fino ad ora, sembra che sia stato aggredito nella camera matrimoniale. C’è stata chiaramente una colluttazione. È stato ucciso, strangolato a morte.”

Jessie sentiva che la sua mente vorticava, fuori controllo, e tentò di imbrigliarla. Parte del suo cervello stava già facendo domande sulla scena del crimine. Ma, furiosa con se stessa, lo zittì di forza, strizzando gli occhi come se fossero collegati a una sorta di interruttore interno.

Garland era morto. Il profiler criminale così leggendario che lei stessa era stata inizialmente timorosa di avvicinare. L’uomo che alla fine era diventato per lei un mentore, e poi un amico a cui affidava i suoi segreti più oscuri, non l’avrebbe più presa in giro, né messa alla prova, né sostenuta. Se n’era andato.

Jessie sentì un’ondata di dolore pervaderla mentre in lontananza udiva il rumore delle onde vere e proprie. Era come se l’oceano conoscesse il suo dolore e avesse deciso di offrirle una colonna sonora. Si chinò all’altezza della vita e ordinò a se stessa di fare diversi respiri profondi prima di tentare di nuovo di parlare.

Quando le parve di aver riconquistato una certa misura di controllo sul proprio corpo, si rialzГІ. Ryan la stava studiando con espressione preoccupata.

“Sto bene,” gli disse, anche se non era certa che fosse vero. “Portami sulla scena.”

Ryan la fissГІ come se fosse pazza.

“Non posso farlo,” le disse incredulo. “Non sei nella condizione per analizzare una scena del crimine in questo momento.”

“Tu invece sì?” gli chiese, sentendo un improvviso e inappropriato livello di rabbia salirle dalle viscere. “Lo conoscevi anche tu.”

“Sì,” le concesse Ryan. “Lo conoscevo e mi piaceva. Ma non gli ero per niente vicino e affezionato quanto te. E comunque è stato brutale per me. A dire il vero ho chiamato Trembley perché mi desse una mano, perché io stavo facendo fatica.”

“È là dentro adesso?” chiese Jessie. Alan Trembley era il detective junior della squadra HSS alla Stazione Centrale. Nonostante la giovane età, aveva dimostrato di essere un agente energico e capace.

“Sì, e sta facendo un ottimo lavoro. Gli vado a dire di occuparsene in modo da poterti portare a casa.”

“No,” ribatté Jessie. “Non voglio che ti sfugga qualcosa di importante perché non eri qui.”

“Jessie. È tutto sotto stretto controllo là dentro. Non stiamo usando la Polizia di Manhattan Beach per questa indagine. Gli agenti là dentro con Trembley sono dei nostri. Il medico legale e i tecnici della scena del crimine sono i nostri. Il capitano ha insistito che usassimo tutte le nostre risorse, e da Manhattan Beach non è arrivata nessuna obiezione. Stanno facendo foto, girando video. Tutto quello che si può fare, lo stanno facendo. Lascia che ti porti a casa. Chiederò a qualcuno di occuparsi della tua auto. Fidati di me. Non ci vuoi andare, là dentro.”

Jessie guardò oltre la spalla di Ryan, in direzione della spiaggia in lontananza. La nebbia stava iniziando ad alzarsi. Ancora non si vedeva l’acqua, ma si scorgevano le sagome di diverse persone che camminavano sulla spiaggia.

Chi mai va a farsi una passeggiata sulla spiaggia a quest’ora?

Scosse la testa, frustrata con se stessa.

Che differenza fa adesso? Concentrati!

“Ok,” rispose alla fine. “Ma prima andiamo là sotto.”

Ryan guardò nella direzione che stava indicando e annuì.

“Aspetta solo un minuto,” le disse. “Voglio prima far sapere a Trembley quello che sta succedendo.”

“Vai,” disse Jessie distrattamente. “Ci vediamo sulla sabbia.”

Ryan la accompagnò giù dalle scale e poi tornò di sopra. Jessie uscì dalla porta e trovò una serie di gradini che conducevano dalla Strand alla pista ciclabile e poi, più sotto, alla spiaggia. Si levò le scarpe e le tenne con le punte delle dita infilate nei talloni mentre camminava verso l’acqua.

Anche se era appena iniziata l’estate, a quest’ora la sabbia era ancora fresca mentre si spostava sotto ai suoi piedi e le si infilava tra le dita. Jessie camminò lentamente in modo da mantenere l’equilibrio, seguendo il suono delle onde più di qualsiasi traccia visiva. Quando fu più vicina alla battigia, le apparve davanti agli occhi una delle vecchie stazioni in legno blu della guardia costiera.

Passò oltre e notò che la sabbia qui era più dura e impaccata. Ancora qualche passo e sentì il bagnato sotto ai piedi, dove la marea era recentemente arrivata. Ora l’acqua si vedeva. Jessie guardò le onde che ricadevano una sull’altra, creando delle increspature che formavano una schiuma bianca che le lambiva le punte dei piedi. Si sedette dove non poteva essere raggiunta dall’acqua e osservò.

Dopo un po’ – non era sicura di quanto tempo fosse passato – Ryan arrivò e le si sedette accanto. Non disse niente e anche lei non parlò. Gli tese una mano e lui la strinse. Si piegò verso di lui e si appoggiò alla sua spalla. Pensò che forse il rumore delle onde stava coprendo quello dei suoi singhiozzi. Ma non ne era certa, e poi non le interessava.


*

GuardГІ fino al sorgere del sole.

All’inizio gli fu difficile, data la nebbia e il fatto che era distante di diversi isolati. Ma dopo aver trovato un binocolo nella camera matrimoniale, riuscì ad andare sul tetto e tenere d’occhio tutto il viavai a sei isolati di distanza lungo la Strand, dove tutto era successo.

Si sentiva stranamente eccitato dall’accaduto. C’era una certa soddisfazione nel sapere che lui era il motivo per cui il fronte della spiaggia era stato nelle ultime due notti una sinfonia di sirene. Non lo capiva pienamente. La prima notte aveva senso. Ma la reazione della polizia nel mezzo della notte scorsa sembrava ancora più intensa del giorno precedente. Forse gli era sfuggito qualcosa.

Alla fine, mentre il sole sorgeva oltre le colline a est, si ritirò nella casa che si era preso per questo periodo. Voleva dormire, ma era difficile con tutta quell’eccitazione. La sua mente continuava a tornare a quello che aveva fatto, a quello che aveva portato via.

Non aveva mai voluto uccidere quella donna. Dopotutto lui si stava facendo gli affari suoi nella casa dei Bloom, quella che loro avevano sempre lasciato vuota per settimane durante l’estate. Non stava dando fastidio a nessuno.

Ma poi quell’impicciona della porta accanto, con il suo corpo di plastica e il sorriso ancora più finto, si era presentata lì. Aveva pensato che dopo un po’ se ne sarebbe andata, e invece era entrata in casa, commettendo il suo stesso crimine. Aveva sperato che se ne andasse lasciandolo alla sua vita. Ma niente. Doveva fare la curiosa e farsi un tour della villa. Se solo avesse tenuto fuori il naso, probabilmente ora sarebbe stata ancora viva.

Ma quando l’aveva visto, lui non aveva avuto altra scelta. Avrebbe probabilmente dato alla polizia un suo identikit e poi lui si sarebbe davvero trovato in una situazione disperata. Quindi aveva dovuto fermarla, aveva dovuto metterla a tacere. Non poteva permetterle di portargli via lo stile di vita che si stava concedendo, anche se era solo temporaneo.

L’aveva strangolata. Inizialmente era stata l’adrenalina a guidarlo, quando l’aveva sbattuta contro la porta e poi le aveva avvolto la calza attorno al collo. C’era stato un momento, quando lei stava davvero lottando dimenandosi, che lui ci aveva brevemente ripensato. Magari poteva farle semplicemente perdere conoscenza e poi scappare, rifugiarsi in un posto completamente diverso.

Ma poi la vecchia furia si era impossessata della sua testa. PerchГ© doveva andarsene lui




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